Dei greci provenienti dalla Locride approdarono sulle coste ioniche della Calabria, in quella che allora era nota come Magna Grecia. I coloni inizialmente si stanziarono nei pressi di Zephyrion Acra (Capo Zefirio, oggi Capo Bruzzano) per poi muovere più a nord di qualche chilometro, conservando in parte il nome del primo insediamento. Nacque così, nel VII secolo a.C., Lokroi Epizephyrioi, ovvero Locri Epizefiri. La polis sarebbe passata alla storia per il suo codex di leggi scritte, il primo del mondo greco, dell’Occidente e dell’Europa continentale.
La firma indelebile su questo corpus legislativo è quella di Zaleuco di Locri, una figura avvolta nel mistero e nell’incertezza. Le fonti antiche che ce lo descrivono e che evidenziano l’entità del suo operato sono purtroppo discordanti. Tuttavia non è un male citarle. Strabone, Diodoro Siculo ed Eusebio di Cesarea ci parlano di Zaleuco, ammettendo implicitamente come si tratti di un personaggio reale (curiosa la necessità di sottolineare la concretezza di una persona) e di come sia l’autentico estensore del codice di leggi scritte del quale Locri si avvalse a partire dal VII secolo a.C. Altri storici (Timeo di Locri, vissuto nel V secolo a.C. o il più recente Karl Julius Beloch, storico tedesco naturalizzato italiano, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo) preferiscono trattare la vicenda di Zaleuco come se fosse un racconto leggendario, nulla più.
Gli antichi forniscono una versione della storia molto romanzata ed epica. Zaleuco, pastore figlio di pastori, sogna Atena. La dea sussurra all’umile uomo natio di Locri Epizefiri delle norme che potessero regolare la vita cittadina all’interno della polis. Ma un semplice pastore, in una condizione semi-servile, non può farsi carico di un tale dovere. Tranquilli, interviene il dio Apollo; egli convince i locresi a liberare da quella stringente condizione il povero Zaleuco, che adesso non ha più vincoli e può iniziare la sua opera legislativa. Diodoro Siculo, vissuto sei secoli dopo gli eventi che narra, presenta tutt’altra vicenda. Per lo storico di Agira, Zaleuco sarebbe un erudito e perciò un uomo libero, allievo di Pitagora… Peccato Pitagora sia nato un secolo dopo, quindi nel VI a.C.
Quale che sia la realtà dei fatti, sappiamo come il codice di Locri fosse abbastanza severo nell’applicazione della giustizia. Rifacendosi alla tradizione orientale, vi si trovava la legge del taglione, anche se attenuata rispetto agli atti legislativi provenienti dall’ambiente ellenico (Codice di Dracone). Strabone racconta come: “tra le prime novità introdotte da Zaleuco c’era questa, che mentre gli antichi affidavano ai giudici il determinare la pena sopra ciascun delitto, egli la determinò nelle leggi stesse: considerando che le opinioni dei giudici anche intorno agli stessi delitti potrebbero non essere sempre le stesse come sarebbe pur necessario che fossero”.
In pratica Strabone ci dice come Zaleuco, codificando le pene per ogni reato, toglieva discrezionalità ai giudici. Un buon metodo per rendere più equa la legge. Il codex interviene su altre questioni della vita quotidiana, cose che hanno a che fare con la morale e la condotta del cittadino. Se adulteri, si andava incontro all’accecamento. Non si poteva bere il vino assoluto, ma solo se diluito con dell’acqua. La pena poteva essere volontariamente “condivisa” dai familiari del condannato.
Curiosa è la “legge del laccio” sottoscritta dallo stesso Zaleuco. Nell’atto pratico, se qualcuno avesse voluto apportare delle modifiche (anche lecite, per carità) al codice, si sarebbe dovuto presentare di fronte all’Assemblea cittadina con un cappio al collo. Per votazione, se la modifica non fosse passata, il proponente sarebbe finito penzoloni sulla forca. Semplice e diretto il nostro legislatore.