Non tutti i santi seguirono una vita moralmente esemplare, compiendo atti che a noi oggi possono apparire alquanto azzardati. Fra questi troviamo Teodoro di Amasea, il “santo piromane” che giunse a dare fuoco ad un tempio pagano. Ma procediamo con ordine.
Le vicende che riguardano la figura di Teodoro di Amasea si collocano sotto il regno dell’imperatore Galerio (305-311). Non si conosce con esattezza quando sia nato: alcuni ritengono in Cilicia, altri in Armenia. Cosa certa è invece la sua appartenenza all’esercito romano e la sue fede cristiana. Intorno al 306 si trovava con la sua legione nella città di Amasea, oggi Amasya, situata nel Ponto.
All’epoca era ancora in atto la persecuzione contro i cristiani avviata da Diocleziano, predecessore di Galerio. Per verificare l’adesione al culto tradizionale romano, era previsto un sacrificio agli dei pagani. Un atto che un cristiano non poteva compiere, in quanto sarebbe caduto nel gravissimo peccato di idolatria. Teodoro, perciò, rifiutò il sacrificio e quindi fu arrestato e condotto in giudizio dal tribuno militare. Costui, che non voleva giungere alla condanna a morte, concesse a Teodoro un breve periodo di tempo in cui riflettere.
Ma Teodoro fece tutto il contrario. Non solo ne approfittò per fare proselitismo, ma decise pure di dare fuoco ad un tempio pagano. Si trattava dal tempio di Cibele, situato al centro di Amasea, sulle sponde del fiume Iris. In questo modo aggravò ulteriormente la sua posizione. Venne arrestato, torturato ulteriormente e rinchiuso in carcere. Si tentò nuovamente di farlo abiurare, ma vista la sua recidività si decise la sua condanna al rogo. Teodoro morì dunque arso vivo il 17 febbraio 306, data assunta per la ricorrenza del santo. La leggenda vuole che una donna di nome Eusebia prese il suo cadavere, lo avvolse in un sudario e, postolo in una cassa, lo seppellì vicino al città di Eucaita, l’attuale Aukhat.