Il governo di Diocleziano si colloca tra il 284 d.C. e il 305 d.C. Una volta divenuto imperatore, egli si trovò alle prese con un impero che versava in condizioni molto difficoltose. L’energica azione di questo personaggio riuscì a chiudere definitivamente l’età travagliata che aveva caratterizzato gran parte del III secolo. La riorganizzazione del potere imperiale centrale fece passare alla storia quest’epoca come quella del “Dominato”, rispetto a quella precedente del “Principato”. È da Diocleziano in poi che inizia l’era del Tardo Antico, in ragione della netta cesura che il suo avvento al trono segnò nella storia dell’Impero romano. Vediamo quali furono le riforme di Diocleziano.
Egli si occupò per prima cosa della riorganizzazione amministrativa dell’impero. Ridusse le dimensioni delle province, affinché fosse più facile amministrarle per i governatori. Nelle province di frontiera, e quindi quelle più a rischio di un attacco, l’operato di questi ultimi era affiancato dai duces, ossia dei comandanti militari. Diocleziano stabilì inoltre un ulteriore suddivisione delle province imperiali in diocesi, ognuna retta da un vicario che oltre a rappresentare il prefetto al pretorio collaborava direttamente con l’imperatore. Il raggruppamento delle diocesi corrispondeva a 4 grandi aree, corrispondenti all’Oriente, alla Grecia e all’Illirico, all’Italia e all’Africa, alla Gallia, alla Britannia e alla Spagna.
Veniamo poi alla riforma operata nell’esercito. Dal momento che all’epoca si stavano combattendo guerre su più fronti, Diocleziano decise per prima cosa di aumentare il numero delle legioni. Prendendo poi le mosse dal precedente imperatore Gallieno, creò un esercito mobile che agisse come forza di pronto intervento in situazioni di emergenza. Queste forze si chiamavano comitatenses, e si distinguevano dai cosiddetti limitanei, ossia dagli eserciti stanziati stabilmente lungo le frontiere.
Dal momento che cresceva il bisogno di una maggiore organizzazione burocratica, le riforme di Diocleziano si occuparono di riorganizzare anche il sistema fiscale. Al tempo l’imposta fondamentale era quella gravante sul reddito agricolo. Vi era dunque bisogno di un’adeguata pratica di censimento. La suddivisone in diocesi aveva tra i tanti scopi anche quello di facilitare la realizzazione di un catasto dei terrenti e dei lavoratori attivi su di essi. Ricordiamoci poi che sotto Diocleziano, l’Italia perdette i suoi antichi privilegi di esenzione fiscale e per la prima volta dal 167 a.C. dovette versare imposte dirette. La razionalizzazione fiscale e la provincializzazione dell’Italia contribuirono a rimpinguare le casse statali.
Arriviamo ora alla riforma monetaria. L’imperatore coniò monete in oro e in argento di ottima qualità, che avrebbero dovuto sostituire il denario. Tuttavia, data l’alta percentuale di metalli preziosi contenuta nelle monete, scomparvero presto poiché gran parte della popolazione preferiva tesaurizzarle. Per venire incontro a questo inconveniente egli coniò il follis, una moneta di rame utilizzata soprattutto dalla gente comune nella vita di tutti i giorni. Diocleziano si trovò inoltre alle prese con una continua ascesa dei prezzi. Si cercò di ovviare a questa difficoltà attraverso l’Edictum de pretiis che stabiliva un calmiere, ossia un prezzo massimo che non era consentito superare per i vari prodotti.
Il bersaglio maggiore di quest’editto erano ovviamente gli speculatori, a cui si voleva vietare “la loro avida attività”. Con queste parole, l’imperatore giustificava il proprio provvedimento e comminava punizioni severissime a chi non lo avesse rispettato. Infatti, chi avesse nascosto le merci o le avesse vendute a prezzo maggiore di quello consentito, sarebbe stato sottoposto nientemeno che alla pena di morte. Nonostante i suoi sforzi, l’imperatore non riuscì comunque a fermare l’inflazione. In ogni caso, la maggior parte delle riforme di Diocleziano ebbe un effetto profondo e duraturo in tutto l’impero e contribuirono a inaugurare una stagione di maggiore stabilità.