L’ammutinamento della corazzata Potëmkin fu un evento estremamente significativo, in grado di gettare ancor più luce sulle problematiche di un impero declinante come quello russo. Gli eventi del 1905 ebbero sì risalto immediato, ma la fama mondiale sopraggiunse esattamente vent’anni dopo, quando il regista sovietico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn realizzò un capolavoro cinematografico dall’esemplare nome “La corazzata Potëmkin“.
La pellicola ripercorre passo dopo passo (anzi, nodo dopo nodo) le vicende della corazzata Potëmkin-Tavričeskij e del suo equipaggio. Noi, allo stesso modo, vogliamo soffermarci sulle ragioni dirette e indirette che spinsero quelle persone a disubbidire al comando ricevuto ma soprattutto ad incidere il loro nome tra le pagine della storia.
L’anno, come già detto, non è affatto banale per la storia russa. Si tratta del 1905 e, mentre la corazzata diviene operativa entro le fila della Flotta del Mar Nero, lo zar si accinge a leccarsi le ferite, vista la sconfitta imminente contro i giapponesi. Il malcontento è evidente e infatti in tutti i territori sotto giurisdizione zarista stanno esplodendo delle manifestazioni di matrice operaia e contadina. Facile pensare come questo clima di massima tensione possa portare a degli episodi come quello della Potëmkin.
Il 27 giugno 1905, mentre la nave pluricalibro – una delle migliori della flotta – si dirige verso Odessa per effettuare delle esercitazioni congiunte, accade il fattaccio. A testimonianza delle condizioni pessime nelle quali versava la marina zarista dell’epoca, a bordo vengono servite delle razioni di carne avariata. I vermi – come è ovvio che sia – fanno desistere i marinai dal mangiare. Il primo ufficiale di bordo ordina però la consumazione di quel pasto. A questo punto, il sottufficiale torpediniere Afanasij Matjušenko, di fronte all’uccisione di un giovane marinaio reticente nel voler ingerire quella carne, si ribella. Uccisi i comandanti, l’equipaggio ora segue Afanasij, che comunque prosegue in direzione Odessa, ma con una bandiera rossa issata.
La speranza era quella di fomentare ancor di più una ribellione già presente tra le strade della città ucraina. Sì, operai e marinai uniscono le loro forze, ma le autorità alla fine hanno la meglio e costringono la corazzata Potëmkin a riprendere il largo (mentre le navi incaricate di bloccarla non rispettano gli ordini, lasciandola passare). Vista la scarsità di risorse a bordo, si decide di comune accordo di chiedere asilo presso un porto straniero. La tappa più gettonata è Costanza, in Romania.
Ma qui le autorità negano l’attracco alla corazzata. Non solo, decidono di “accoglierla” con delle amichevoli cannonate. Alcuni marinai riescono comunque a scendere e passare inosservati per vie clandestine. Altri però sono carne da macello, visto che la polizia rumena non impiega molto tempo ad organizzare il rimpatrio in terra russa – tradotto: morte certa. Altresì la nave fu restituita allo zar e nel 1907 Afanasij Matjušenko venne riconosciuto in Russia, arrestato e alla fine impiccato per insubordinazione. L’ammutinamento della corazzata Potëmkin divenne un simbolo centrale per i rivoluzionari che successivamente sovvertirono l’ordine costituito.