Con l’approvazione nel 1919 del XVIII Emendament Act iniziò in America il periodo del Proibizionismo. Il governo avrebbe abrogato questa disposizione legislativa solo nel 1933, segnando la fine di quello che più tardi si definì il “il più grande esperimento sociale dell’evo moderno”. Tuttavia, vietare la vendita e la produzione di bevande alcoliche rappresentò una decisione molto severa da parte del governo. Se pensiamo poi che si stava eliminando un settore assai redditizio dell’economia, è evidente che il proibizionismo non nacque solo per logiche di profitto. Le ragioni dietro al XVIII Emendament Act vanno semmai ricercate nell’etica religiosa negli Stati Uniti d’America.
Il desiderio di estromettere l’alcol dalla vita di tutti i giorni trovò la sua origine un secolo prima, durante l’800. Un gruppo di donne bianche appartenenti al ceto medio danno vita alla Temperance Union, contro un alcolismo che rendeva i mariti schiavi e violenti. Ai loro occhi il bere costituiva una fortissima fonte di corruzione e la causa primaria della loro infelicità domestica. La loro lotta continuò per l’intero secolo, perdendo tuttavia d’importanza con lo scoppio della Guerra di Secessione, durata dal 1861 al 1865.
Con la fine del conflitto il movimento riacquistò energia con la fondazione del primo Partito proibizionista e successivamente della Woman’s Christian Temperance Union. L’opposizione all’alcol ha quindi in origine un carattere puramente femminile che alla fine del XIX secolo riuscì ad acquisire un posto all’interno della politica. L’arrivo di migliaia di immigrati da tutto il mondo servì da cassa di risonanza per le rimostranze del Partito. Gli stranieri stavano riempiendo le città e i saloon, considerati luoghi dissoluti dove i lavoratori si ubriacavano vergognosamente a fine giornata. Nel 1893 nacque la Lega contro i saloon, il gruppo che nella lotta all’alcol si rivelò il più energico.
La mentalità che fomentò l’odio fanatico per il vizio è ovviamente quella puritana. A partire dal XVII secolo, a colonizzare il Nord America erano stati migliaia di puritani britannici, che per ragioni etico-religiose intendevano condurre una vita sobria, letteralmente e metaforicamente. Nel ‘900, la chiave del successo dei proibizionisti fu l’aver trovato un alleato nell’etica industriale. Il governo si convinse ben presto che l’alcol danneggiasse l’economia. Gli operai lavoravano meno e i cittadini, anziché acquistare beni durevoli, sperperavano le proprie risorse bevendo. Nonostante l’alcolismo rappresentasse un problema sociale reale, i proibizionisti ne esagerarono a dismisura la portata, facendolo passare come la causa di tutti i mali.
Finalmente, il governo approvò l’inizio del Proibizionismo, premiando gli sforzi di una crociata secolare. Ma ciò che apparve al tempo come la soluzione a tutti problemi, si rivelò subito un vero e proprio fallimento. Nessuno era disposto a smettere di bere e la criminalità organizzata lo sapeva bene. Emerse così un traffico illegale di carattere capillare in tutti gli USA. I gangster approfittarono del divieto per ricavare vertiginosi profitti e nelle città emersero decine e decine di Speakeasy. Questi locali esistono ancora oggi e affascinano la clientela per il loro carattere esclusivo. Al tempo del Proibizionismo gli Speakeasies prevedevano un’entrata tramite parola d’ordine e fiumi infiniti di alcol per tutti, in barba ai protestanti.
Personaggi come Al Capone a Chicago divennero gli indiscussi padroni delle città, causando degrado urbano e crisi economica. Il divieto che doveva rappresentare il ripristino del buon costume, generò in America ancora più criminalità e disagio. Fu per queste ragioni che 14 anni dopo il governo capeggiato da Franklin Delano Roosevelt si convinse ad abrogare l’XVIII Emendament Act. A detta dello stesso presidente, si dava inizio a “una nuova era, e a una birra per ciascuno”.