La galassia di leggende popolari e racconti tradizionali che contraddistingue il nostro paese e lo rende un unicum nell’intero panorama mondiale (tanto da valergli una menzione d’onore nel patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO) ci permette, quasi a cadenza quotidiana, di imbatterci in strabilianti storie, dalle quali poter trarre spunti di riflessione – culturale e scientifica – a dir poco interessanti. Oggi è la volta delle “Impronte del Diavolo” o, per meglio dire, Ciampate del Diavolo. Vediamo assieme di cosa si tratta.
Ci troviamo in provincia di Caserta, alle pendici dell’oramai estinto vulcano di Roccamonfina, non lontano dal comune di Tora e Piccilli. Nello splendido contesto naturale offerto dall’Antiappennino campano, ci si può imbattere in quelle che a tutti gli effetti sembrano essere delle antiche tracce, lasciate chissà da chi o da cosa. Calchi di matrice animale? Beh, le forme sopravvissute all’erosione temporale possono tradire persino la più razionale delle interpretazioni.
Queste impronte situate sulle pendici del Roccamonfina hanno alimentato non poche leggende popolari. Una delle più note vede degli spiriti maligni aggirarsi sulla lava ancora incandescente alla ricerca di una fonte dalla quale abbeverarsi. Il loro passaggio avrebbe comportato la formazione dei solchi. La tradizione orale si è sviluppata tra XVIII e XIX secolo, momento in cui le impronte avrebbero fatto la loro comparsa a seguito di una pioggia torrenziale. Ebbene, nessuno fino al 2003 si è davvero interessato all’origine delle Ciampate del Diavolo.
Studi interdisciplinari (stratigrafici prima di tutto, poi geologici ed infine archeologici) hanno fornito una prima bozza d’analisi scientifica. Appunto, nel 2003 Paolo Mietto, docente di stratigrafia dell’Università di Padova, affermò come le Impronte del Diavolo si fossero formate all’incirca 350.000 anni fa. Furono diversi esemplari di Homo heidelbergensis a generarle. Restò la domanda sul come. Ebbene ulteriori ricerche hanno provato a colmare la lacuna, seppur non al 100%. Gli studiosi sostengono come il materiale piroclastico raggiunse allora una plasticità ed una temperatura tale da permettere il passaggio degli ominidi. La massa lavica si raffreddò con notevole velocità (forse a causa di tramontane o grecali improvvisi), custodendo le voluminose impronte.
La relativamente recente scoperta ha permesso agli esperti di sottolineare alcuni tratti singolari, affascinanti per certi versi, certamente innovativi per la vicenda. Prima della formulazione della teoria, non si credeva che l’Homo heidelbergensis camminasse in posizione totalmente eretta. Sì, la presenza di impronte rilasciate da arti superiori potrebbe tradire tale conclusione, tuttavia l’obiezione è facile da smontare. La ripidità della zona costrinse gli ominidi ad aiutarsi con le mani. Piccola chicca: tra la totalità delle impronte lasciate da arti superiori, quelle di Roccamonfina sono forse le più antiche al mondo a noi pervenute.
56 sono le tracce contate durante i vari sopralluoghi: 27 dall’andamento alternato (zig-zag); 19 rettilinee; 10 facenti parte di una seconda pista, affiancata alla principale. La grandezza media delle orme (10×20 cm, corrispondenti ad un 36 di piede) suggerisce la grandezza degli ominidi, attestata sui 160 centimetri. Le Ciampate del Diavolo rappresentano un sito paleontologico di eccezionale rilevanza. Se capitate nei pressi di quelle zone, non fatevi scappare l’occasione…