La peste nel ‘600 fu un evento catastrofico che interessò l’Italia e non solo nel XVII secolo. Come al solito dare dei numeri precisi di tali eventi è molto difficoltoso, soprattutto per la scarsità di resoconti precisi e veritieri sull’evento.
La città protagonista di oggi è Firenze, che su una popolazione di 76.000 persone ne perse circa 9.000. La città aveva subito una grande batosta. Ma facciamo un passo indietro. Nel 1559 Cosimo de Medici divenne granduca di Toscana. In quel frangente era però impopolare e doveva fare qualcosa di apprezzato per entrare nel cuore della gente.
Cosimo puntò al cuore della gente, anzi, forse meglio dire al fegato. Consentì la vendita del vino prodotto nelle fattorie all’interno delle case private. Questo voleva dire due cose: in primis vendere il vino a prezzo al dettaglio e non all’ingrosso, e, soprattutto, non si dover pagare le tasse sulla vendita.
L’idea funzionò alla grande. Le cantine private erano frequentatissime e la gente le apprezzava, e apprezzava Cosimo. Quando però sopraggiunse la peste il problema della quarantena e del contatto fisico divenne preponderante, il vino rischiava di passare in secondo piano.
Nel 1629, anno di arrivo dell’epidemia, la vendita nelle cantine private fu vietata. Gli amanti del vino furono però subito indignati, volevano il loro vino. L’idea geniale fu quella di creare delle “buchette di vino“, ovvero delle finestrelle nelle cantine dalle quali continuare a vendere il vino. Un’apertura alta 12 pollici e larga 8 aiutò i fiorentini a mantenere costante il loro consumo di alcool ed i venditori a vendere e guadagnare come in precedenza.
Se dunque la quarantena è stata un’idea veneziana sempre in seguito alla peste, le misure di sicurezza e del contenimento del contagio le ritroviamo in questa geniale trovata della toscana rinascimentale. Un bicchiere di vino al giorno tolse la peste di torno, e vissero tutti ebbri e contenti.