La storia delle 5 gemelle Dionne è un racconto tanto semplice quanto “diabolico” e triste. Questo perché, attraverso sfumature più o meno condivisibili, ci dice chi siamo, in qualità di membri di una società ambivalente, caritatevole in alcuni casi, spietata in altri. Una spietatezza che segue a ruota le dinamiche del guadagno, del lucro, dell’opportunismo, e poco importa se sono dirette conseguenze dello sfruttamento di 5 povere ragazzine “ree” di essere nate con un parto plurigemellare.
Cécile Marie Émilda, Émilie Marie Jeanne, Marie Reine Alma, Yvonne Édouilda Marie, Anette Lillian Marie. Nome d’arte: le 5 gemelle Dionne. Sembra strano a dirlo, ma effettivamente furono oggetto d’attrazione turistica fin dalla loro più giovane età. Nate da mamma Oliva-Edouard e papà Elzire Dionne nel 1934, in Ontario, Canada, erano cinque nuove arrivate in una famiglia ben più numerosa. Ragion per cui lo Stato decise di affidare la loro tutela al dottor Dafoe, medico a capo di una clinica pediatrica. L’amministrazione federale decise di trasformare quell’evento eccezionale (o almeno all’epoca lo sembrava) in un’opportunità economica.
Ecco che quindi si raggiunse l’accordo tra le parti: famiglia, dottor Dafoe e Stato si impegnarono a lucrare economicamente sulla figura delle cinque bambine. Esse avrebbero trascorso i primi 9 anni di vita in un’ala appositamente costruita della clinica, recluse come animali da zoo. Papà Elzire addirittura si mise a vendere souvenir delle sue figlie appena fuori la struttura medica, spacciandoli talvolta per amuleti della fertilità. Dal ’34 fino al ’43 le 5 gemelle Dionne attirarono un flusso di circa 3 milioni di turisti. Numeri da capogiro, ma a che prezzo? Furono condotti studi, analisi, tutto per comprendere l’entità del parto plurigemellare. Tuttavia nessuna delle cinque poté mai avere contatti con altri bambini della loro età, potendo incontrare solamente i camici bianchi della clinica e i visitatori.
Ebbene, nel già citato 1943 la famiglia Dionne ottiene di nuovo la custodia delle gemelle. Così, attingendo dal tesoro accumulato negli anni, si sistemarono in una villa nei pressi di Quintland, dotata di ogni lusso immaginabile per l’epoca. Ma se pensate che l’inferno potesse finire allora, vi sbagliate. Non solo le gemelle non furono “reintegrate” con gli altri fratelli, ma si videro costrette a viaggiare in tour promozionali in giro per il Canada. Lo sfruttamento finalmente terminò nel 1952, al compimento dei 18 anni.
Le gemelle si allontanarono immediatamente dalla famiglia che le aveva utilizzate, senza mai considerarle per quello che erano: esseri umani desiderosi di affetto. Ognuna di loro intraprese una strada diversa. Tre di loro misero su famiglia, sposandosi e avendo figli. Un’altra divenne prima scultrice e poi bibliotecaria mentre l’ultima prese i voti. Quest’ultima, ovvero Émilie, morì a vent’anni circa a causa di un attacco epilettico. Marie la seguì all’età di trentacinque anni per un aneurisma.
Le altre vissero più a lungo, con Annette e Cécile che ancora oggi sono tra noi. A metà degli anni ’90 le ultime tre gemelle testimoniarono gli abusi, anche sessuali, subiti durante l’infanzia. Nel 1998 lo Stato dell’Ontario le risarcì con 2.8 milioni di dollari canadesi. Eppure i soldi non fecero dimenticare l’orrore che queste persone vissero durante quelli che dovrebbero essere gli anni più belli di un intero ciclo vitale.