Quando si chiude una porta, si apre un portone. Questo è un detto che spesso può applicarsi bene anche al contesto bellico. Infatti, terminato il secondo conflitto mondiale, tra USA e URSS scoppia una nuova guerra, che che per le sue peculiari caratteristiche passò alla storia come Guerra fredda. Per oltre 40 anni l’incessante competizione tra i due blocchi sconfinò in molteplici ambiti, dei quali quello spaziale fu uno dei più sensazionali. Dovendo provare la propria superiorità, i due paesi si lanciarono a capofitto nella ricerca spaziale, ciascuna ottenendo successi alterni. Nel 1957, con il lancio del satellite Sputnik 2 in orbita terrestre, l’URSS aveva compiuto un vistosissimo passo in avanti rispetto alla sua rivale. Ebbene, Sputnik non era vuoto, poiché al suo interno si trovava nientemeno che la cagnolina Laika.
In occasione del 40esimo anniversario della Rivoluzione bolscevica, era partito Sputnik 1, mentre a distanza di un solo mese era stata la volta di Sputnik 2, con a bordo il primo “terrestre” a raggiungere lo spazio. In quel giorno l’URSS era riuscita a riaffermare la propria supremazia in campo tecnologico, generando ammirazione in tutto il globo. Un grande smacco per gli Stati Uniti, che dovette guardare inerme mentre la sua nemesi segnava una tappa cruciale nell’esplorazione spaziale. Ma come ci era finita Laika su quel satellite?
Laika non era una cagnolina di razza, bensì una meticcia randagia di 3 anni, che vagava per le strade di Mosca. Tra 5 o 6 candidati scelsero proprio lei, perchè essendo femmina non aveva bisogno di alzare la gamba per urinare; in questo modo si risparmiava spazio all’interno della capsula. Oltre a questo motivo, a promuoverla furono anche la sua docilità e la sua intelligenza. Ovviamente, prima del lancio nello spazio, seguì un durissimo addestramento. Infatti, doveva imparare a resistere in una capsula pressurizzata di soli 80 centimetri. Nelle simulazioni trascorse molto tempo all’interno di una centrifuga, abituandosi così agli effetti della spinta e al rumore del lancio.
Quando il 3 novembre Radio Mosca aveva annunciato la partenza di Laika, la notizia non passò inosservata. La tenera immagine di lei che spunta dal contenitore spaziale aveva fatto il giro del mondo, destando molta curiosità. Qual era l’obiettivo della missione? Va detto che far arrivare un essere vivente nello spazio rappresentava per i due blocchi una scommessa assoluta. I rischi erano tantissimi, date le conoscenze piuttosto grezze che si avevano sulla sopravvivenza in assenza di gravità. Dunque a quel tempo era di fondamentale importanza sperimentare con delle cavie prima di passare agli equipaggi umani. Laika fu vittima di tale logica. Partì con addosso alcuni strumenti che le misuravano i parametri vitali, come il battito cardiaco e la pressione sanguigna.
Le informazioni ricavate dalla sua esperienza e dalla reazione del suo corpo erano di fondamentale importanza per gli scienziati sovietici. Tutti sapevano che sarebbe stato un viaggio di sola andata ed era un fatto noto a tutti fin dall’inizio. Purtroppo al tempo non c’era modo di far tornare un essere vivente sano e salvo dallo spazio. La versione ufficiale racconta che Laika sopravvisse per oltre 4 giorni. A quel punto venne avvelenata con del cibo, per evitarle una morte ancora più dolorosa quando fosse rientrata in atmosfera. Le temperature raggiunte dalla capsula sarebbero state elevatissime, e il contenitore non era provvisto di uno scudo termico.
Secondo le versione più probabile invece, trapelata da una comunicazione ufficiosa, la cagnolina sarebbe morta disidratata nel giro di poche ore. Sembra che durante la nona orbita intorno alla Terra, la capsula avesse raggiunto oltre 40 gradi centigradi per via dell’insufficiente isolamento. Il recupero del corpo di Laika avvenne il 16 aprile del 1958, all’interno di quello stesso satellite precipitato sulle Antille. Nel complesso possiamo dire che l’influenza di quella impresa sulla culture popolare fu ampissima. Laika divenne simbolo del comunismo e della supremazia scientifica sovietica. L’istituto aerospaziale di Mosca aggiunse il suo nome all’elenco dei cosmonauti morti in missione.