Il popolo egizio è quello che forse più di tutti è connaturato e collegato al mistero e all’esoterismo. Molto più di altri popoli dell’antichità, gli egizi osservavano il cielo e le stelle. Un nuovo studio di un astrofisico ci racconta una novità molto interessante: probabilmente la Via Lattea aveva a che fare con la sfera del divino per questa meravigliosa civiltà.
Pubblicato sul Journal of Astronomical History and Heritage, il nuovo studio è frutto di attente ricerche, ma non ci dice nulla di particolarmente nuovo sulla passione egizia per le stelle. A loro infatti dobbiamo il concetto di anno composto da 365 giorni e quello di giornata formata da 24 ore. Erano dei veri e propri pionieri nell’osservare la luna e il sole e le stelle tutte.
Introduciamo ora i nostri due principali protagonisti: Or Graur, l’astrofisico dell’Università di Portsmouth e autore del nuovo studio, e Nut, dea egizia. Quest’ultima era la divinità collegata al cielo, alle stelle e all’universo tutto. L’astrofisico racconta di come gli sia venuta questa nuova idea. Proprio mentre studiava le mitologie connesse alla Via Lattea si imbatté nella divinità.
Approfondendo l’argomento notò come ci poteva essere un grande spazio per uno studio comparato. Detto, fatto. Graur si mette a studiare subito il Libro di Nut e come apparivano le stelle ed i pianeti fra 3.000 e 4.000 anni fa. Se non bastasse, simulò pure il loro movimento e come doveva apparire la Via Lattea da diverse parti dell’Egitto antico.
Un ruolo molto importante lo ricopre il ruolo della dea nelle credenze egiziane. Secondo la loro visione di Nut, questa faceva da tramite tra questo mondo e le stelle imperiture, ovvero un gruppo di stelle nella parte settentrionale del cielo che sembrava non tramontassero mai. Per questo simboleggiavano la vita eterna, e la dea faceva la spola tra il mondo dei mortali e quello eterno appena citato.
Questo particolare ruolo di Nut e la sua raffigurazione fanno pensare ad un collegamento con la Via Lattea. Ma, come dice lo stesso Or Graur, non si tratta di uno studio conclusivo ma solo di un possibile punto di partenza. Sottolinea anche poi l’importanza di un approccio multidisciplinare agli studi e ne dimostra le possibilità che questo apre.