Diede i natali a personaggi illustri del calibro di Gaio Giulio Cesare e Marziale. Fu meta di “pellegrinaggi” controversi, si tenga conto dei casi – seppur diametralmente opposti per scopi ed intenti – di Messalina e Nerone. Tale fu la sua fama che a lungo il nome “Suburra” identificò un luogo malfamato, screditato e corrotto. Eppure è attraverso la storia di questo quartiere romano, corrispondente grossomodo all’attuale rione Monti, che si può comprendere qualcosa in più sulla sfaccettata vita sociale degli antichi abitanti dell’Urbe.
Il termine “Suburra” (o Subura, non è ben chiaro quale sia l’etimo) deriva dal latino sub-urbe, ossia “al di sotto della città”, da cui anche “sobborgo”. È possibile afferrare il concetto se si analizza la posizione sottostante del quartiere in relazione al colle Palatino, nucleo originario di Roma.
All’epoca il livello della strada era ancor più basso rispetto a quanto non lo sia oggi, perciò lo scarto risultava essere decisamente più marcato. Il quartiere, vasto e popoloso come pochi altri nell’Urbe, si estendeva sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale, toccando lembi dell’Esquilino. A sua volta la Suburra contava su tre alture di riferimento: l’Oppio, il Cispio e il Fagutale.
Abbiamo una prima testimonianza storica della Suburra quando Varrone, tra II e I secolo a.C., descrive il Septimontium. Si tratta di una specifica area cittadina associata ad una processione religiosa festeggiata annualmente l’11 gennaio. Questo sin dai tempi del re Numa Pompilio. Così scriveva il letterato Marco Terenzio Varrone: “Dove adesso si trova Roma c’era un tempo il Septimontium così chiamato per il numero di montes che in seguito la città incluse all’interno delle sue mura”. Non si confondano i sette monti (legati ad una fase ancor più antica di Roma) con i sette colli.
Forse però la prima volta in cui il sobborgo sale alla ribalta è durante il regno dell’etrusco Servio Tullio. Il sovrano scelse la Suburra come area in cui edificare la sua residenza reale; perché una scelta tanto sconsiderata? Beh, nella testa del re la Suburra era l’essenza della vitalità cittadina romana, ricca di contraddizioni e per questo vera, autentica. A percorrere il quartiere poco raccomandato fino al foro era l’Argileto. Un’antica strada oggi identificabile nella via Leonina e nella via della Madonna dei Monti.
Sin dal V secolo a.C., perciò nel bel mezzo dell’età repubblicana di Roma, la Suburra gode già della fama di zona pericolosa, sporca, affollata, in cui la perdizione la fa da padrona. Non è solo il fattore umano a destare preoccupazione. Frequenti sono incendi e crolli che danneggiano le insulae, edifici alti fino a cinque piani ospitanti tante, troppe famiglie plebee in affitto.
Per paura che eventuali – e probabilissimi, vista la poca accortezza in termini di sicurezza – incendi potessero innescarsi nella Suburra ed espandersi nelle altre aree della città, in epoca augustea (44 a.C. – 14 d.C.) si decise la costruzione di una gigantesca muraglia a cingere il famigerato rione. Piccole porzioni delle mura sono visibili ancora oggi e rappresentano l’ultimo lascito strutturale della Suburra.