Libri, film e serie televisive hanno generato nel grande pubblico un’idea specifica di cosa sia un cavaliere dell’Ordine del Tempio. Spesso questa raffigurazione risulta essere distorta da innumerevoli fattori – alcuni comprensibili, altri molto meno – che non rendono giustizia ad un fatto storicamente accertato e documentato. Eccola, è questa la parola chiave: documenti. Il più importante dei quali, per la tematica odierna, è la Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio. Redatta di proprio pugno da Bernardo di Chiaravalle, prendendo spunto dalla regola benedettina e anzi inasprendola sotto molti aspetti, la Regola di San Bernardo venne assunta dall’Ordine a partire dal Concilio di Troyes del 1129. Grazie a questo importantissimo documento, possiamo farci un’idea precisa della struttura dell’esercito templare, distanziandoci una volta per tutte da pretestuosi esempi seriali/cinematografici.
Breve premessa prima di iniziare: nelle seguenti righe non verrà delineata un’origine e un’evoluzione a tutto tondo dell’ordine religioso cavalleresco. Sul tema nello specifico troverete degli articoli scritti in precedenza ai quali rimando per avere una generica visione d’insieme (qui la nascita dell’Ordine dei Cavalieri Templari).
Tornando alla nostra Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio, è necessario sapere che ne sono sopravvissute solo una manciata di copie. Le più antiche sono in latino, mentre le più recenti (relativamente parlando, parliamo pur sempre di testi del XIII-XIV secolo) sono in francese antico. Da queste testimonianze comprendiamo come la prima stesura, quella di San Bernardo per capirci, contenesse la totalità di 50 capitoli. I successivi rimaneggiamenti, che andarono ad interessare tanto il succo del testo quanto la sua forma, finirono per aggiungere al corpus iniziale altri 27 capitoli ed un prologo.
Anche solo dando una letta ai primi capitoli della Regola Primitiva si nota come la suddetta a tutti gli effetti appaia come un codice normativo comportamentale. C’è di tutto: dalle rigide osservanze alimentari al vestiario da adottare, passando per le severe disposizioni di carattere sessuale (alcune delle quali sono incredibilmente “curiose”, come quella che vieta rapporti intimi persino con le stesse madri – cap. 72). Bernardo di Chiaravalle, massima autorità religiosa del tempo ed instancabile promotore delle Crociate, non si trattenne nel prescrivere norme d’ambito militare.
Ciò che doveva distinguere il monaco-cavaliere dal milite secolare era una moltitudine di principi ed aspirazioni. Mi spiego meglio. Il templare non dava la vita per la gloria mondana ma per la grazia divina. Attraverso il massimo rigore, facilmente osservabile in ogni momento della vita templare, il cavaliere serviva Dio. Esempi concreti ne esistono a bizzeffe: durante la marcia obbligatorio era il silenzio e la contemplazione. Il cavaliere non indossava l’elmo se non su ordine di un superiore, il quale aveva sola autorità di comando. L’andatura a cavallo era cadenzata, mai disomogenea e sempre ordinata.
Il legame tra il soldato timorato di Dio e il suo cavallo era sancito indissolubile dalla medesima regola. Nel capitolo 30 si legge: “A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché l’insigne povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare oltre, se non per licenza del maestro”. Allo stesso modo i cavalieri dell’esercito templare non potevano vantare più di un singolo scudiero (cap. 31). Famigerate e temutissime erano le cariche di cavalleria templare, le quali da sole potevano penetrare – nelle parole della principessa bizantina Anna Comnena – le mura di Babilonia.
Coloro i quali di diritto facevano parte della Militia Templi dovevano rispettare altresì norme sul vestiario. Così nel capitolo 22: “I soldati professi portino solo vestiti bianchi. A nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii bianchi, se non ai nominati soldati”. Qui va fatta una puntualizzazione. La Regola Primitiva vietava qualunque ornamento o accessorio (cap. 29), eppure con la bolla pontificia Omne datum optimum, emanata nella primavera del 1139, si permise di ricamare sul mantello, precisamente sulla sezione superiore, una piccola croce patente rossa. Le grosse e frontali croci rosse alle quali il nostro occhio è abituato sono frutto di una popolare fantasia affermatasi dal primo Ottocento.
Sebbene nelle disposizioni originarie di San Bernardo non si riscontrino dirette menzioni all’assetto dell’esercito templare, queste sembrano trovare espressione concreta nelle successive riedizioni francesi. Ha senso, perché esse si rifacevano ad un ordine monastico-cavalleresco decisamente più strutturato e funzionale, forte di una precisa gerarchia interna. E dunque secondo queste regole aggiornate i cavalieri templari sarebbero artefici di alcune delle tattiche militari più innovative che troveranno piena concretizzazione sui campi di battaglia del Basso Medioevo.
Ed ecco che i Milites Christi sono i primi ad attuare in Terra Santa un’inflessibile suddivisione in battaglioni della cavalleria. Ognuno di questi faceva capo ad un Gran Maestro o ad un maresciallo (che a differenza dei soldati “semplici” indossava un mantello bruno). Ovviamente gli squadroni rappresentavano sempre la prima linea di uno schieramento. Al loro seguito vi erano gli scudieri, pronti ad intervenire per fornire cavalli di riserva o il necessario armamento di scorta.
Per essere devastante e funzionale la carica doveva possedere i caratteri di coesione e organicità. Su questo insiste anche la Regola di San Bernardo. Nel capitolo 33 si osserva: “Nessuno agisca secondo la propria volontà. È conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se qualcosa sia
stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per l’ascolto dell’orecchio mi ha obbedito”.
Due parole è obbligatorio spenderle anche sull’armamento dell’esercito templare, non dissimile da quello in dotazione a qualunque cavaliere europeo sin dall’XI secolo. Un’asfissiante cotta di maglia copriva capo, petto, gambe e braccia (rispettivamente fino alle ginocchia e al gomito). L’elmo era conico e smussato. Il templare faceva affidamento su uno scudo, una lancia e una spada a doppio filo.
La disciplina era forse l’aspetto più centrale dell’intera normativa comportamentale. Bernardo di Chiaravalle ci si sofferma in più di un capitolo, a riprova della sua rilevanza, soprattutto in prossimità della battaglia o durante lo svolgimento della medesima. Ai cavalieri dell’Ordine del Tempio va riconosciuta una capacità militare quasi senza eguali, benché si registrino degli episodi di scarsa comprensione strategica (Hattin e Marj Ayyun). Le disfatte, che pure vi furono e gravarono non poco nei contesti in cui trovarono luogo, non oscurano il rinnovamento militare – di cui disciplina e comunione d’intenti sono parole d’ordine – di cui effettivamente l’Ordine dei Cavalieri Templari fu ideatore.