Che cosa furono, nello specifico, le idi di Marzo? Come è inevitabile, quando sentiamo nominare questa frase la mente corre immediatamente a Giulio Cesare e alla sua fine prematura. Infatti, in questa giornata nel 44 a.C. il famosissimo dittatore cadde vittima di una congiura mentre si recava in Senato. Facciamo però un passo indietro. Cesare si trovava all’apice del suo successo in questo periodo, aveva sconfitto ogni suo rivale e la sua fama aveva raggiunto quasi tutto il Mondo conosciuto. Secondo alcuni storici il dittatore stava pianificando di farsi investire del titolo di sovrano: questo fatto però resta nel campo delle ipotesi. Molti potenti a Roma non vedevano Cesare di buon occhio, anzi, temevano una sua possibile investitura a Re. Questo gli avrebbe garantito un potere spropositato.
Giulio Cesare, però, sottovalutò l’importanza di questi malumori, continuando a svolgere le sue mansioni come di consueto. Era in programma una grande spedizione verso l’Asia. L’intento di Cesare era quello di superare Alessandro Magno, colui che considerava il più grande condottiero della storia. Ma questi grandi propositi non si videro mai realizzati, in quanto, durante le idi di Marzi, Cesare cadde vittima di un attentato mentre si recava in Senato. Non è ancora chiaro quanti furono i congiurati: alcuni dicono 40, i più generosi li considerano addirittura 60. Ma, secondo la leggenda, 23 colpi uccisero Cesare.
Resta molto famosa l’espressione che Cesare dovrebbe aver detto morendo: ” tu quoque Brute, fili mi” ”Bruto, figlio mio, anche tu?”. Ma, molto probabilmente, come riferisce Plutarco, Giulio Cesare morì nel silenzio, coprendosi il volto con la toga insanguinata. Il giorno dopo Marco Antonio, colui che era considerato il suo erede spirituale, pronunciò un acceso discorso giurando che avrebbe trovato i responsabili dell’omicidio di Cesare. I congiurati non avevano un piano organico da attuare dopo la morte del dittatore, infatti, scomparvero dalla storia poco dopo. La maggior parte di loro trovò la morte quando affrontò il secondo triumvirato nelle due battaglie di Filippi, alcuni prima come Cassio Longino e altri poi come Marco Giunio Bruto.