Per raccontare la storia di Toro Seduto ci siamo presi il nostro tempo, perché si tratta di una vicenda, quella dell’ultimo grande capo Sioux, davvero troppo grande (e affascinante) per essere incastonata in poche parole. Divideremo la sua vita in due tronconi, così da poter trattare al meglio anche alcuni piccoli – ma significativi – dettagli della sua onorevole esistenza. Un’esistenza che vede il suo momento di inizio in un giorno non meglio precisato tra il 1830 e il 1831. Tasso che Salta (questo è il suo primo vero nome) nasce e cresce nei pressi del fiume Yellowstone, in quello che oggi è il South Dakota. Suo padre è un capo minore dei Sioux Hunkpapa, ma comunque resta una personalità influente.
Quest’ultimo si renderà conto delle qualità del figlio quando lo vedrà cacciare un bisonte adulto, all’età di 10 anni, tutto da solo. In quel momento Tasso che Salta diventò Toro Seduto. Il buongiorno, anche in questo caso, si vide dal mattino; il giovane entrò a far parte dei guerrieri della tribù, giurando di difendere la sua gente anche a costo della vita. La prima azione di guerra, contro il popolo Crow, gli valse a 14 anni la penna d’aquila bianca dietro la nuca. Un simbolo di audacia, coraggio, ma anche intelligenza e riflessività. Qualità che contraddistinsero la sua vita fino alla fine dei giorni.
Presto Toro Seduto scalò i ranghi, per così dire, divenendo tra le altre cose uno che con le parole era in grado di convincere in tantissimi, e non era cosa da poco all’epoca. Assunse una posizione di prim’ordine presso gli Hunkpapa nonché tra i Sioux in generale. Da quelle parti, giungere a tale posizione, significava portarsi sulle spalle un gravoso peso fatto di responsabilità, prima che di leadership, spirituali. E la spiritualità fu un altro dei tasselli centrali che caratterizzarono la figura di Toro Seduto. A testimonianza di ciò c’è la Danza del Sole, forse l’apice cerimoniale tra le diverse nazioni indiane.
Attraverso la Danza del Sole lo sciamano riusciva ad ottenere dagli spiriti protettori visioni del futuro, profezie dall’alto valore morale. Sì, ma ciò richiedeva digiuno, astinenza, autoflagellazione per diversi giorni, tutto in nome della comunità. In qualità di capo tribù, Toro Seduto era anche sciamano. Egli non si sottrasse al rito neppure negli ultimi momenti della sua vita, tanto era imponente, per non dire persistente, il suo credo. Ma all’orizzonte si stagliava un grosso pericolo, che forse il capo Sioux comprese primo fra tutti.
Nel 1863, in piena guerra civile, il generale unionista Alfred Sully chiese per conto del governo un incontro con Toro Seduto, il quale acconsentì, ma con giustificata diffidenza. La richiesta dei bianchi fu diretta: l’abbandono delle terre natie, il ritiro in alcune riserve predisposte, approvvigionamenti assicurati e continui in cambio del rispetto del patto. Molti nella stessa posizione del pellerossa accettarono, ma egli non volle sentire ragioni. Prese tempo. Sì, perché volle contare sulla sicurezza di un fronte comune, composto da un’altra tribù, gli Oglala Sioux, con a capo un personaggio influente: Nuvola Rossa.
Toro Seduto e Nuvola Rossa daranno vita ad un sodalizio non indifferente, soprattutto dal 1865 in poi. L’anno non è casuale. Terminata l’esperienza bellica negli USA, il governo volle investire sulla costruzione di una ferrovia che attraversasse il paese da est ad ovest, collegando costa atlantica e pacifica. Ciò comportò innumerevoli danni ai popoli nativi; si arrivò alle armi, con la guerra che durò dal 1866 al 1868. Al termine di una sanguinosissima campagna, le due parti si vennero incontro, con il trattato di Fort Laramie. Ai pellerossa veniva concesso il controllo di diverse regini, come quella del Powder River, del Wyoming e delle Black Hills. Tutto ciò se non avessero ostacolato in alcun modo i progetti infrastrutturali dei bianchi. Da questo accordo riprenderemo la seconda parte…