La storia di oggi è quella di un popolo indomito, fiero e combattivo: i Mapuche. Il nome di questo popolo è indissolubilmente legato a quello di un suo condottiero, Galvarino, e alla triste nonché violenta storia della sua vita da comandante, o per meglio dire, grande capo. Grazie a lui, nel XVI secolo, come anche in seguito, i Mapuche non si prostrarono mai davanti ai nuovi conquistatori delle loro terre, ma li combatterono sempre eroicamente.
Ad oggi poco meno di un milione, i Mapuche abitarono storicamente le regioni del Cile meridionale e centrale, per poi spostarsi in Argentina sul finire del XIX secolo dopo aver combattuto con il nuovo governo cileno. Qui vissero nelle reducciones, piccole e improduttive riserve che li costrinsero ad una misera vita.
Ma procedendo in ordine cronologico, la resistenza sembra intrinseca all’animo del popolo sudamericano. Non si sottomisero mai alla dominazione Inca e combatterono quella che è conosciuta come la guerra più lunga della storia contro gli spagnoli, per poi scontrarsi, come sopra accennato, contro il governo cileno.
La guerra di Arauco, dal 1536 al 1881, vide come protagonisti i Mapuche e i conquistadores spagnoli. Fu proprio durante uno degli innumerevoli scontri di tale conflitto che emerse e si consacrò alla storia la figura di Galvarino. Nel 1557 si svolse la battaglia di Lagunillas, presso il fiume Biobío. Dopo la sconfitta e le ingenti perdite indigene, vi furono anche 150 ostaggi, fra di loro vi era il celebre capo.
Il nuovo governatore del Cile, Garcia Hurtado de Mendoza, colui che aveva deciso la riprese dell’espansione spagnola ed aveva scatenato la guerra, stabilì allora una punizione esemplare. Ai prigionieri doveva essere tagliata la mano destra ed il naso, per Galvarino la punizione prevedeva l’amputazione di entrambe le mani. Ciò doveva servire da monito agli altri Mapuche. In un primo momento il capo chiese infatti di venir ucciso, reputandosi inutile come guerriero. Si rese poi conto però di dover vendicare prima l’onore della sua gente.
Si fece così legare due coltelli al posto degli arti amputati e, nel successivo scontro, lottò con tutte le sue forze. Nonostante la sua sconfitta e quella del suo popolo, con quelle lame incise il suo nome nella storia e nel cuore dei Mapuche. Ancora oggi è ricordato con grande onore e come esempio virtuoso. Insomma, perdere sì, ma arrendersi mai.