Chiunque sia stato a Berlino deve aver camminato non lontano dal civico numero 2 di Rosenstraße, a pochi passi dalla turistica e centrale Alexanderplatz. Uno degli estremi della “Via delle Rose”, colpita dai bombardamenti degli alleati nel 1943, ospita oggi un’imponente colonna color amaranto, a memoria degli eventi che vi si consumarono tra il febbraio e il marzo dello stesso anno. Alla vigilia del violento raid aereo della RAF sulla capitale tedesca, infatti, centinaia di donne berlinesi si ritrovarono nel centro della città per lanciare una sfida al Terzo Reich: era la coraggiosa protesta della Rosenstraße.
Fino al 1943 i gerarchi tedeschi avevano escluso dalle categorie passibili di deportazione gli ebrei sposati con ariani. Fino a quel momento, infatti, questi ultimi avevano continuato a vivere a Berlino. Nel gennaio dello stesso anno, quando la disastrosa battaglia di Stalingrado stava volgendo al termine, gli alti vertici avviarono una fase di decisivo incremento dei provvedimenti antiebraici. Anche la disfatta in Russia, infatti, esacerbò il Dolchstoßlegende. In poche parole, il complotto imputava agli ebrei tutte le colpe della deriva dello Stato tedesco, a partire dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale.
Con l’obiettivo di eliminare la presenza ebraica a Berlino e a Vienna, le autorità nazionalsocialiste ordinarono l’avvio della Fabrikaktion. Si trattava di una fase di persecuzioni tesa a decomprimere la concentrazione dell’opinione pubblica sul fronte russo. Il provvedimento colpì prima un’altra delle categorie fino a quel momento esonerate dall’oppressione: gli ebrei che lavoravano nell’industria bellica. Di lì a poco, anche gli individui sposati con tedeschi “puri” finirono nel mirino. Così, il 27 febbraio 1800 uomini furono imprigionati nel palazzo al civico numero 2 della Rosenstraße, dove già migliaia di ebrei attendevano di essere deportati.
Nonostante le condizioni climatiche avverse e i rischi connessi all’iniziativa, le mogli “ariane” degli uomini catturati cominciarono ad affollare, numerosissime, l’area immediatamente circostante. Per quattro giorni consecutivi le donne berlinesi chiesero di avere indietro i propri compagni di vita, sostenute da alcuni passanti unitisi alla protesta. Quando poi l’esercito tedesco sparò sulla folla per disperdere la pacifica insurrezione, per non sfigurare agli occhi degli alleati Goebbels ordinò propagandisticamente di non reprimerla nel sangue.
Difatti, fu solo un evento disastroso come il bombardamento di Berlino a interrompere la protesta della Rosenstraße. Il 1 marzo la forza aerea britannica prese di mira la capitale tedesca, approfittando dell’inattività della Luftwaffe nel giorno della sua festa nazionale. “Ho sempre avuto tanta paura dei raid aerei. Ma quella notte pensai che se lo meritavano!”, avrebbe commentato una delle donne coinvolte nell’insurrezione. “Ero con altre donne inginocchiate a pregare. Avrei potuto ridere con disprezzo! Ma poi pensai a mio marito, imprigionato nella Via delle rose. Sapevo che non sarebbero stati in grado di lasciare il palazzo”.
Mentre gli stati d’animo delle donne, precipitatesi in un rifugio antiaereo, si dividevano fra la preoccupazione per i loro compagni e il sostegno all’attacco britannico, la loro iniziativa cominciò a sortire i primi effetti. Goebbels escluse dalle deportazioni gli ebrei prigionieri al numero 2 della Rosenstraße, e tuttavia non certo per generosità, ma per evitare che altre simili iniziative raggiungessero l’opinione pubblica globale. Sulla scorta della sua decisione, però, nella Parigi occupata Eichmann annullò le deportazioni degli ebrei sposati con donne di sangue francese. Poco dopo, Kaltenbrunner ordinò la liberazione immediata dai campi di concentramento di tutti gli ebrei sposati con donne ariane.
I bombardamenti avrebbero colpito il civico della prigionia verso la fine della guerra. Al termine del conflitto si decise di costruire non un nuovo edificio, ma un monumento che ricordasse la portata dell’insurrezione femminile. La resistenza ostinata delle donne berlinesi, infatti, salvò migliaia di ebrei da una tragica sorte, mettendo in crisi nelle fondamenta il crudele progetto di sterminio razziale. La colonna rosa, alta quasi 3 metri, sorge a poca distanza da un giardino e da un complesso scultoreo chiamato Block der Frauen (“blocco delle donne”), a eterna memoria della protesta della Rosenstraße.