Da quattro anni a questa parte l’interno della piramide di Djoser è visitabile, dopo non esserlo stato per più di 90 anni. La notizia, non proprio dell’ultima ora, fornisce un assist al bacio per parlare della costruzione in pietra calcarea più antica mai realizzata dalla civiltà egizia. Dopo Cheope e Snefru, antitetiche nell’architettura di base, è giusto tirare in ballo il terzo incomodo rappresentato dalla costruzione a gradoni, di cui il complesso strutturale di Djoser è il più antico e maestoso esponente.
Artefice pratico della piramide gradonata fu Imhotep, architetto reale e cancelliere di Djoser (nato chissà quando, morto forse nel 2660 a.C.), faraone della III Dinastia. Imhotep realizzò una struttura in grado di soddisfare a pieno la concezione cosmogonica attorno alla morte del sovrano. Evento da considerare nella sua ritualità di passaggio da un mondo terreno ad uno ultraterreno, celeste per meglio dire. Idealmente il punto di contatto tra terra e cielo doveva essere la tomba del faraone, a gradoni decrescenti così da facilitare l’ascesa verso l’alto. L’architetto reale anticipò di due secoli circa “l’edificazione piramidale perfetta” di Giza.
La piramide di Djoser conobbe la piena realizzazione un trentennio dopo la dipartita del sovrano, suo illustre ospite. Si stima che l’ultimo gradone sia del 2630 a.C. La prima mastaba (componente strutturale in pietra calcarea) si estendeva in senso quadrangolare, anche se modifiche in itinere allungarono di poco due lati, trasformando la pianta in rettangolare. A grandezze decrescenti, si procedette con altri quattro gradoni, innalzando la piramide a 42 metri. Fu a questo punto che Imhotep intervenne ancora sul progetto, ampliando di due gradoni e rivestendo con lastre di calcare bianco l’intera struttura, oramai forte dei suoi 60 metri d’altezza.
Sul lato nord, in direzione nord-sud si scavò una scalinata discendente fino ad un pozzo e alla camera sepolcrale, volontariamente ostruita da un macigno di tre tonnellate. Quando gli archeologi riuscirono a trovare il passaggio per l’ambita camera, annotarono un crollo interno del soffitto e delle pareti in granito rosa. Le macerie occultarono per sempre la salma del faraone, di cui ci resta solo un piede (un po’ fa ridere, dai). Il piede mancino è conservato all’Istituto di Medicina del Cairo. A rendere affascinante e intricata la piramide di Djoser è il complesso di gallerie e camere segrete che si snoda in lungo e in largo. I lavori di restauro hanno ripulito molti dei trafori interni, oggi visitabili in tutta la loro suggestionante bellezza.
Per quanto riguarda il passato della piramide di Djoser, bisogna fare l’abitudinario distinguo tra storia antica e storia recente. Quest’ultima ha inizio nel XIX secolo, esattamente nel 1818, quando l’esploratore/archeologo (fino a tempi non sospetti, le due professioni erano pressoché la stessa cosa, talvolta con risvolti critici, il caso Ferlini insegna) Heinrich Menu von Minutoli, volendo meglio indagare sulla “Ahram El Mudarraga”, la fantomatica “piramide a gradoni” di cui parlavano i locali di Saqqara, si mise a scavare nei pressi di quella strana conformazione sabbiosa, trovando una bella piramide, la più antica di tutte. Egli però non poteva saperlo.
Girolamo Segato seguì le orme del suddetto collega svizzero, penetrando la piramide nel 1821. L’indagine non fu fortunatissima e lo si capisce leggendo i diari del viaggiatore veneto: sì colmi di speranza, ma anche critici nei confronti di una disgregazione strutturale abbastanza difficile da affrontare. Comunque alla spedizione di Segato ne seguirono molte altre, ognuna delle quali danneggiò il patrimonio sacramente custodito dalla sabbia per quattro millenni. Nel XX secolo l’esplorazione delle gallerie assunse i contorni della scientificità, ma anche del turismo. Per evitare danneggiamenti derivanti da un già vivido afflusso turistico, nel 1930 l’autorità locale chiuse l’interno della piramide a gradoni. Condizione durata fino “all’altro ieri”, ovvero il 2020.