La Peste Antonina, spesso chiamata anche Peste di Galeno, dall’omonimo medico che per primo ne descrisse sintomi e decorsi, fu molto probabilmente una pandemia di vaiolo, forse colera o meno presumibilmente tifo, che colpì duramente molteplici territori dell’Impero romano tra 165 e 180 d.C. (con sporadiche ondate successive, una delle quali particolarmente violenta in Egitto e Medio Oriente nel 189-190 d.C.). È sempre più folta la schiera di storici che tendono ad individuare nell’epidemia il primo grande evento destabilizzatore del sistema imperiale. Questo per via dei suoi immediati contraccolpi demografici, commerciali, finanziari e – ultimo fattore della lista ma non per importanza – politici.
Grazie alla descrizione di Galeno pervenutaci grazie a del materiale papirologico, si può concepire (anche se non dettagliatamente) l’entità della cosiddetta peste. L’autorevole medico greco-romano annotò tra i vari sintomi del male una febbre persistente, diarrea, vomito, un’insaziabile sete, così come il gonfiore della gola e la conseguente tosse. L’analisi delle feci condotta dall’erudito Galeno fece ipotizzare a quest’ultimo un copioso sanguinamento gastrointestinale negli ammalati. Inoltre si riscontrava nelle vittime sfoghi ed eruzioni cutanee su quasi tutta la superfice corporea. Fortunatamente non tutti i contraenti della malattia, che sussisteva non più di 12 o 13 giorni, andavano incontro alla morte. Anzi, i fortunati sopravvissuti sviluppavano adeguati anticorpi per resistere efficacemente alle successive ondate.
Grossomodo compresa la natura del male passato poi alla storia come Pesta Antonina (anche se di peste propriamente detta non si trattò), dovremmo chiederci quando, come e perché si diffuse. Ebbene, le fonti antiche sono abbastanza concordi nell’individuare l’origine epidemica (per quanto riguarda i territori sotto l’egida di Roma) nell’assedio romano di Seleucia. L’episodio, che avvenne nell’ambito delle guerre partiche portate avanti da Lucio Vero, co-augusto assieme a Marco Aurelio, è del 165-166 d.C.
Quello che le fonti antiche per lo più ignorano, e che solo la ricerca storico-archeologica ha potuto presupporre, è che la Peste Antonina vide i suoi tristi natali in Cina. Da qui, lungo tutta la Via della Seta, raggiunse la Mesopotamia, anche grazie al commercio fluviale sui fiumi Tigri ed Eufrate. La città di Seleucia era una dei principali scali portuali sul Tigri. Le truppe di ritorno dall’Oriente, in larga parte portatrici del morbo, vennero ridisposte lungo il fronte renano. Ecco perché la Peste Antonina colpì prima di tutto la Gallia e poi il resto dell’impero.
Ma se fin qui mi sono soffermato sui dati maggiormente attendibili, adesso entriamo in quel meraviglioso mondo delle ipotesi, delle incertezze e delle stime variabili a seconda delle fonti di riferimento. Avrete notato che sino ad adesso non ho fatto parola di alcun numero per quanto riguarda le morti totali, causate dal fenomeno pandemico. Questo perché non c’è accordanza tra i resoconti antichi. Una forbice accettabile parla di minimo 5 e massimo 30 milioni. Comunque un numero di molto inferiore alle 60 o 70 milioni di vittime volute dagli storici che hanno fatto (e continuano a fare) troppo affidamento sulle cifre riportate dal coevo Cassio Dione.
Tuttavia quest’ultimo fornisce dati interessanti per quanto riguarda il tasso di mortalità durante il picco massimo della peste. Lo storico romano ci dice che in questa fase (difficilmente individuabile cronologicamente parlando, anche se diversi esperti fanno combaciare la descrizione con la seconda breve ma pesante ondata del 189-190 d.C.) morirono nella città di Roma più di 2.000 persone al giorno. Cassio Dione forse ebbe accesso ai registri mortuali dell’Urbe, perciò si spiega la sicurezza con la quale fornisce la stima. Bisogna specificare come il tasso di mortalità di crisi (ossia il tasso di mortalità circoscritto ad un periodo instabile paragonato all’arco temporale precedente all’evento scatenante) fu estremamente rilevante. Conseguenza del fatto che la popolazione del bacino mediterraneo fosse “vergine” al cospetto del morbo. Le malattie infettive colpiscono più duramente le frangi della popolazione prive di immunità acquisita o ereditaria.
Triste fatalità il fatto che Lucio Vero, impegnato nella campagna militare contro l’Impero partico, contrasse il male e per esso morì nel 169 d.C. Stessa sorte toccò al fratello adottivo Marco Aurelio, venuto a mancare però undici anni dopo.
Ora però cerco di giustificare il titolo dell’articolo, appositamente provocatorio, anche se non sensazionalistico. Le conseguenze della Peste Antonina, sommate a carenze croniche già in essere e solamente amplificate dalla crisi sanitaria, furono durissime sotto numerosi punti di vista:
- Militare – molti soldati contrassero e morirono per il morbo. Non pochi servivano sui due fronti caldi, quello renano e quello danubiano, dove la pressione delle popolazioni germaniche era particolarmente alta. Così l’impero si ritrovò costretto a reclutare (non per la prima volta) un numero sempre maggiore di liberti, germani e, solo in rari casi, criminali e gladiatori. Sarà un caso il fatto che nel 167, in Pannonia superiore, tribù di Longobardi e Osii (con l’acquiescenza dei Quadi) sfondarono il limes entrando nei territori romani?
- Economico – il bilancio delle vittime, anche se sottostimato, causò una perdita di contribuenti, agenti economici e fiscali, esattori, potenziali detentori di cariche pubbliche o funzionari (vedasi il fenomeno dell’anacoresi fiscale). Le entrate nelle casse dell’impero diminuirono sensibilmente. Vennero meno molti agricoltori e le aziende agricole ridussero il loro regime produttivo. La scarsità dei raccolti e quindi delle scorte di cibo causò forti aumenti dei prezzi. Al fenomeno inflattivo Marco Aurelio (e poi Commodo) provarono a porre un freno, manomettendo il quantitativo di metallo prezioso nel denario ma fissando il suo valore nominale. Ciò non fu immediato, chiaramente, ma neppure si tradusse in un successo.
- Sociale e Religioso – tanti fedeli alla religione della tradizione incolparono i cristiani della piaga. Anche se l’accusa assolutamente pretenziosa non sorbì gli effetti sperati e anzi, per alcuni versi avvicinò la comunità cristiana con gli altri cittadini dell’impero. L’assistenzialismo cristiano (aiutare il prossimo era un precetto fondamentale) fece decadere tanti pregiudizi sul loro conto, attirando al contempo simpatie e consensi. I nuovi seguaci crearono le basi per l’espansione della supertitio (non ancora religio) e la sua prossima affermazione.
In conclusione si potrebbe affermare come effettivamente la Peste Antonia rappresentò un evento funesto per la storia dell’Impero romano. Certamente non fu la sola causa del suo declino, che comunque si materializzò molto tempo dopo. Apparirebbe sproporzionato il giudizio per il quale la pandemia del 165-180 d.C. segnò un punto di non ritorno per le sorti di Roma. Eppure quella crisi qualcosa smosse e gli effetti non tarderanno a manifestarsi sotto i Severi, durante l’anarchia militare e con la tetrarchia.