La Noche Triste, in italiano “Notte Triste”, non è altro che la rocambolesca fuga dalla capitale azteca, Tenochtitlan, dei conquistadores finita in tragedia. Tutto ebbe inizio con il ritorno di Hernán Cortés, richiamato dall’astrologo e negromante Botello, nella capitale, dopo un lungo periodo di lontananza. Durante il quale Hernán aveva lasciato le redini della situazione al suo amico Pedro Alvarado che finì con il dimostrarsi non esattamente all’altezza.
L’astrologo Botello che si diceva avesse stipulato un patto con il diavolo e che stesse scappando dal rogo dell’Inquisizione, fece sapere a Cortés di una sua visione, per convincerlo a tornare. Al suo rientro nella capitale dell’antico regno, situato nell’attuale Messico, Cortés trovò una città fatiscente, con strade rigurgitanti cadaveri e persone in preda alla disperazione. Cortés chiese spiegazioni ad Alvarado.
Questo gli raccontò della festa pagana che la popolazione aveva celebrato: occasione che Alvarado non si fece sfuggire per condurre un attacco contro dei nobili aztechi. Apparentemente immotivato l’attacco era forse frutto della brama d’oro degli spagnoli, che ad ogni modo uccisero centinaia di uomini e diedero alle fiamme il Templo Mayor.
Il sovrano Montezuma cercò di sedare gli scontri ma senza successo, finendo anzi con l’essere spodestato dai mexica ora in piena rivolta contro i conquistadores. Nonostante fosse stato spodestato, Cortés si rivolse a Montezuma, nella speranza che egli potesse far leva sul proprio popolo. In tutta risposta i mexica finirono con il lapidare l’ex sovrano considerato ormai la “put**na degli stranieri”. Montezuma morì pochi giorni dopo l’incidente, ma non per le ferite riportate nello stesso: forse per gli spagnoli aveva esaurito la sua utilità?
La situazione si fece sempre più tesa fino a che gli stessi uomini di Cortés chiesero di poter abbandonare quella città paghi del bottino ottenuto fino a quel momento. Le reticenze di Cortés svanirono una volta che Botello gli illustrò la sua ultima visione: partire subito o andare incontro a morte e distruzione. Pur non credendo alle arti divinatorie il comandante cedette, la partenza era programmata e gli uomini procedettero a nascondere quanto più oro possibile. I soldati riempirono i loro vestiti d’oro e caricarono pesantemente anche i loro cavalli: ogni pertugio disponibile conteneva metallo prezioso.
La fuga, rivelatasi nefasta, dalla capitale azteca non fu semplice: la città era infatti come una piccola Venezia d’oltreoceano. Si poteva accedere ad altre parti della città solo mediante dei ponti galleggianti. La notte del 1° luglio 1520, quella strada appariva incustodita forse per via della pioggia battente, e così si fecero strada nell’oscurità, ma non nel silenzio, a giudicare dal tintinnio che l’oro in loro possesso dovette generare. Fu proprio durante l’attraversamento dei ponti mobili che gli aztechi attaccarono fuoriuscendo da delle canoe. La battaglia ebbe inizio e presto quei ponti si riempirono di morti. I soldati appesantiti dall’oro affogavano o tentavano di fuggire scalando i cumuli di cadaveri. Cortés salvatosi miracolosamente insieme a pochi altri, perse metà dell’esercito e parte del bottino.