10 settembre 1761, la goletta Octavius salpa da Londra in direzione della Cina. Al timone si trova l’esperto capitano d’origine fiamminga Hendrick van der Heul. Il viaggio prosegue secondo i piani e nell’arco di qualche mese si giunge negli allettanti porti imperiali sul Mar Cinese Meridionale. Vendute le merci, i mozzi caricano la stiva di tutto il necessario per affrontare il viaggio di ritorno. Così il mercantile riparte ma, misteriosamente, si perde nel tragitto. È l’autunno del 1762: secondo la tradizione orale, inizia il calvario della Octavius.
Non di autunni, ma di primavere ne passano, 13 per l’esattezza, prima che qualcuno incroci le vele squarciate della disgraziata Octavius. L’11 ottobre 1775 la baleniera groenlandese Herald avvista tre alberi maestri di una non meglio identificata nave; essi svettano al di sopra di un iceberg ad una decina di chilometri di distanza; “meglio avvicinarsi” pensa il capitano Alex Warren. Quando l’equipaggio capisce che l’oggetto dell’avvistamento altro non è che una goletta (tipicamente usata nei mari chiusi o per la navigazione a cabotaggio) inizia a farsi qualche domanda, d’altronde è insolito che un simile tipo di nave si aggiri per le profonde e fredde acque dell’Atlantico settentrionale. Se possibile, lo scenario si fa più tetro quando solo il silenzio e al massimo il rumore del vento rispondono ai richiami provenienti dalla Herald.
La patina di ghiaccio sulla nave apparentemente priva di uomini rende il tutto più misterioso. Warren ordina di calare in acqua una scialuppa e sceglie personalmente i marinai per una veloce ricognizione. Legge il nome “Octavius” e pensa tra sé e sé di non aver mai udito tale appellativo. Gli impavidi salgono sul ponte e constatano quanto immaginato: non c’è nessuno sulla nave. Decidono dunque di addentrarsi sottocoperta, verso la cabina del capitano. Si apre la porta e lo stupore è massimo. Il capitano della nave fantasma è morto congelato, seduto dinnanzi la scrivania; con la sua mano destra tiene una penna, anch’essa fissata dal gelo. L’uomo stava scrivendo le ultime pagine del diario di bordo, il quale viene “strappato” dai marinai ivi presenti e ricondotto sulla baleniera. La foga del gesto permette al capitano Warren di leggere solo la prima e l’ultima pagina del diario.
La data che contrassegna la prima pagina è il 10 settembre 1761; l’ultima pagina riporta invece 11 novembre 1762. Sono passati tredici lunghi anni da quell’ultima annotazione, la quale non si esaurisce al giorno, mese, anno: “Finora siamo rimasti intrappolati nel ghiaccio per 17 giorni. La nostra posizione approssimativa è 160 gradi longitudine Ovest, 75 gradi latitudine Nord. Il fuoco si è spento ieri e il maestro ha cercato di riaccenderlo, ma senza molto successo. Ha dato la pietra a uno dei marinai. Suo figlio è morto questa mattina e sua moglie dice che non sente più il freddo. Il resto di noi non può dire lo stesso”.
Leggendo le vaghe coordinate Warren intuisce cosa sia successo alla Octavius. Persa nel Mar Glaciale Artico, a nord dell’Alaska, cercando di attraversare (chissà se volontariamente o meno) il Passaggio a Nord-Ovest, anche noto come il “passaggio maledetto”.
Raccontata la storia, traiamo assieme qualche conclusione. Molto, ma molto probabilmente, quella della Octavius è una delle apocrife leggende di mare più conosciute del mondo anglosassone. A distaccare la vicenda dalla sfera storica sono quattro fattori chiave, che rispondo al più classico dei “chi, dove, come e quando”. Nessun capitano sano di mente di nessuna goletta mercantile avrebbe mai optato per il Passaggio a Nord-Ovest (scartando la traversata dello Stretto di Magellano, in Sud America) in inverno, nel secondo Settecento.
Poi si sa, le leggende sulle navi fantasma sono vecchie quanto la navigazione stessa. La disgrazia dell’Octavius forse venne costruita ad hoc per rendere concreti i timori di quanti tremavano all’idea di dover affrontare le temperature, i ghiacci e gli stenti che un viaggio nel bel mezzo del Mar Glaciale Artico – in inverno – avrebbero comportato. Già queste sono motivazioni validissime per relegare la vicenda della nave all’ambito della leggenda. Diversa è la situazione quando si parla della HMS Erebus o della HMS Terror. Consiglio la lettura dell’articolo a riguardo (o la visione della serie tv The Terror) se si volesse sperimentare il brividino lungo il dorso della schiena.