Stefano Ussi, validissimo pittore fiorentino attivo per gran parte del XIX secolo, nel 1860 dipinge La cacciata del duca di Atene. La tela, oggi esposta nella terza sala di Palazzo Pitti, ha per oggetto il bando di Firenze, proclamato a furor di popolo, rivolto a Gualtieri VI di Brienne, nominalmente Duca d’Atene. Ussi realizzò il dipinto per rafforzare una già strutturata visione patriottica, utilizzando l’esempio fiorentino di metà Trecento come paradigma per il contemporaneo Ottocento. Facile porre sullo stesso piano la cacciata di Gualtieri con l’auspicabile destituzione dell’invasore asburgico. Oltrepassando il simbolismo risorgimentale e concentrandoci esclusivamente sulla raffigurazione storica, si possono notare dettagli importantissimi che rivelano a pieno la portata del sentimento popolare fiorentino in quei giorni estivi del 1343.
Ussi sceglie come sfondo dell’opera il Palazzo del Bargello. Al suo interno il Duca d’Atene sta firmando l’accordo con il quale rinuncia alla podestà comunale in cambio della personale incolumità. Lo sguardo dello spettatore può constatare una “spaccatura emotiva” interna al dipinto. La sezione mancina raffigura i congiurati, fieri di aver restituito il diritto decisionale al popolo fiorentino – o per meglio dire, ad un consiglio oligarchico portavoce della volontà mercantile ed alto borghese. Anche sulla destra si può notare concitazione, proveniente tuttavia dagli uomini in arme. La città è in festa, le finestre non tradiscono la gioia della comunità. Gli unici due ad avere lo sguardo truce, fisso, tramortito, sono Gualtieri di Brienne ed il suo consigliere, Cerretieri Visdomini.
Come si giunse all’episodio del 26 luglio 1343, comunemente festeggiato dalla città toscana come un momento di liberazione, l’affrancamento dalla tirannia di uno “straniero”? Per scoprirlo dobbiamo fare un bel passo indietro, concentrando la nostra attenzione su due punti: il contesto fiorentino tra gli anni ’30 e ’40 del XIV secolo e la figura del famigerato Duca d’Atene. Parto da quest’ultimo. Nato tra il 1304 ed il 1305 dall’unione di Gualtieri V di Brienne e da Giovanna di Châtillon (lei a sua volta figlia del connestabile del re di Francia Filippo IV, ove per “connestabile” si intende il capo di tutte le armate del regno. Mica male). Alla morte del padre durante la battaglia di Halmyros nel 1311, Gualtieri ne ereditò tutti i titoli nobiliari.
Peccato non valessero nulla o quasi, visto l’esito della battaglia che ne annullò de facto la validità. Tutti i territori nominalmente appartenenti a Gualtieri ora si trovavano sotto l’egida della Compagnia Catalana. Facevano eccezione le signorie di Argo e Nauplia, che però non conferivano chissà quale valore al detentore. Per tutta la vita Gualtieri VI di Brienne cercò di riconquistare i possedimenti che gli appartenevano di diritto. Tentativi vani, lo dico già. Il Duca d’Atene comunque riuscì a rafforzare politicamente la sua posizione, soprattutto nel meridione italiano. Divenuto uno dei favoriti della corte angioina, nel 1331 partecipò alla crociata indetta da Papa Giovanni XXII e finanziata da Roberto di Napoli. L’obiettivo era strappare Atene al despota Giovanni Orsini, ma i veneziani, intervenuti per difendere le loro prerogative commerciali, fermarono con successo la spedizione. Tra l’altro il Duca d’Atene perse il suo unico figlio nella campagna. Oltre al danno la beffa.
Un amareggiato Gualtieri tornò in Francia, dove rimase fino al 1342. Quell’anno combaciò con la sua apparente rinascita. Firenze, economicamente e finanziariamente in ginocchio a causa dell’insolvenza di Edoardo III d’Inghilterra (mancato rimborso dei prestiti che mandò gambe all’aria le famiglie dei Bardi e dei Peruzzi, per intenderci), politicamente dilaniata dal perenne contrasto Guelfi-Ghibellini, decise di affidare il proprio governo ad un podestà forestiero, perciò esterno alle macchinazioni della Repubblica. Gualtieri accettò l’incarico, il quale doveva avere una valenza temporanea. Per via di alcuni provvedimenti popolari, i ceti meno abbienti spinsero per consegnare al Duca d’Atene la signoria a vita.
Improvvisamente, nel 1343, il registro governativo del nuovo podestà mutò. Alcune scelte in campo economico, utili a porre un freno al dissanguamento finanziario della Repubblica Fiorentina, sfavorirono in realtà la classe mercantile e borghese, la stessa che ne aveva supportato l’ascesa al potere. Al contrario le misure volute dal duca di Brienne piacquero al vecchio ceto aristocratico, residuo delle antiche nobiltà feudatarie che da mezzo secolo non avevano più voce in capitolo nelle questioni che contavano. Porsi contro gli interessi della ricchissima casta bancario-mercantile fu il grande errore di Gualtieri. A dieci mesi dalla nomina il popolo fiorentino, fomentato dalle facoltose famiglie della città, si ribellò al podestà. Egli si sentì pericolosamente vicino al linciaggio, perciò barattò la propria integrità fisica con la rassegnazione dell’incarico di governo, rimettendolo alle mani del “popolo”.
Il 26 luglio 1343 avvenne la nota cacciata del Duca d’Atene, episodio pressoché leggendario nella storia di Firenze. Che fine fece Gualtieri? Finì per risposarsi nuovamente, pur senza generare un erede. Ebbe l’onore di diventare connestabile di Francia al servizio di re Giovanni II detto il Buono. Nella famosa battaglia di Poitiers (1356), uno degli scontri più conosciuti nel contesto della Guerra dei Cent’anni, il Duca d’Atene trovò la morte.
Concludo con le parole riportate sulla celebre targa in Via de’ Calzaiuoli, a Firenze. Suddetta insegna, realizzata in memoria di quegli eventi nefasti, recita: “Con questo che fu lo stemma di Gualtieri Duca d’Atene, un Cerrettieri Visdomini di mala ambizione, tratto le sue case in onta alla città oppressa non impunemente contaminava”.