Questa è la storia di come una piccola unità di volontari, mossa principalmente da ideali patriottici allo scoppio della Prima guerra mondiale, arrivò in una manciata di anni a diventare un corpo d’armata propriamente detto, forte di 70.000 uomini, ben equipaggiati, dignitosamente armati e contraddistinti da una fermezza di spirito quasi senza eguali. Quei soldati, di nazionalità ceca e slovacca, giocarono un ruolo di primo piano nel contesto bellico del Fronte Orientale, successivamente nell’intricata questione russa post Rivoluzione d’ottobre, affermandosi definitivamente come attori protagonisti della guerra civile nella gelida terra un tempo governata dallo zar. Se non lo si fosse capito, la quinta pillola della Grande Guerra è dedicata all’impensabile vicenda della Legione Cecoslovacca.

Prima di chiamarsi così, l’unità militare composta da cechi e slovacchi ne subì di evoluzioni e cambiamenti. Infatti la sua storia condivide il punto d’origine con quella della guerra che per oltre quattro anni tenne sotto scacco l’Europa, e di conseguenza il mondo intero. Nel 1914 Boemia, Moravia e Slovacchia facevano parte dell’Impero austro-ungarico: uno scatolone di nazionalità diverse, unite solo ed esclusivamente dalla comune fedeltà alla corona degli Asburgo. Come ben sappiamo, gli stessi paradigmi nazionalisti che portarono all’attentato di Sarajevo si potevano scorgere un po’ ovunque nel decadente impero multinazionale. Gli slavi, gruppo etnico preponderante, rappresentavano da soli la metà della popolazione residente nei territori della duplice monarchia. Tra questi, cechi e slovacchi furono lesti (già nel secondo Ottocento) a riscoprire le proprie radici storiche e culturali, giungendo su posizioni nazionaliste, autonomiste e panslaviste.

Non nacquero per caso associazioni – ginniche/ricreative di facciata, paramilitari/indipendentiste nel concreto – come, giusto per dirne una, Sokol a Praga. L’attivismo cecoslovacco riguardò anche la politica, con la nascita di un partito prima posizionato su istanze autonomiste, poi esplicitamente fautore dell’indipendenza di una nazione cecoslovacca. La formazione partitica prendeva il nome di “Partito popolare ceco” (poi “Partito progressista”) e vedeva come principali esponenti Tomáš Masaryk, Milan Rastislav Štefánik ed Edvard Beneš.
Dopo il 28 luglio 1914, gli obiettivi di questi uomini si fecero più limpidi rispetto al passato. Masaryk, il volto principale dell’indipendentismo cecoslovacco ed ex deputato a Vienna, fuggì in Francia e con i suoi più stretti collaboratori fondò il Consiglio nazionale cecoslovacco. Una forma germinale dello stato che verrà. Esso, in modo simbolico dichiarò guerra all’Austria-Ungheria nel 1915, posizionandosi fermamente dalla parte dell’Intesa contro gli Imperi centrali.

Ma ciò non deve distogliere la nostra percezione della realtà storica dei fatti. Quando l’Europa entrò in guerra, gran parte dei sudditi cechi e slovacchi rispose alla chiamata alle armi, entrando nei ranghi dell’esercito imperial-regio. Queste unità sperimentarono sulla propria pelle l’orrendo massacro in Galizia, assaggiando l’atrocità del conflitto. Soprattutto ebbero modo di notare quanto fosse poco sensato combattere contro un esercito come quello russo, composto da persone simili per lingua e cultura. A Pietrogrado fiutarono l’occasione e accettarono la petizione dei circa 100.000 cechi sudditi dello zar di formare un’unità militare esclusivamente ceca. Nacque così la Družina. Se vogliamo questo è il primo nucleo della Legione Cecoslovacca che di lì a qualche anno sarebbe sorta.
Sebbene la Česká Družina esordì in guerra essenzialmente con compiti di sabotaggio e raccolta informazioni, presto le sue fila si ingrossarono. Dalle 720 reclute che nel settembre 1914 prestarono giuramento a Kiev, due anni dopo si passò ad avere circa 7.5000 uomini. La consistenza dei battaglioni era tale che la Stavka (il quartier generale zarista) decise di riorganizzare l’unità militare. Si formò allora la Československá Střelecká Brigáda (brigata fucilieri cecoslovacca). Masaryk agli inizi del 1917 si recò a Pietrogrado e venne riconosciuto dal neonato governo provvisorio russo come massima autorità militare e politica dei legionari cecoslovacchi in Russia.

La brigata fucilieri cecoslovacca fu l’unica unità ad ottenere davvero qualche vantaggio strategico nel corso della fallimentare offensiva Kerenskij (luglio 1917). Considerando ciò, la debolissima autorità russa non pose più un freno all’inquadramento dei legionari cechi e slovacchi. Ciò significò totale autonomia di comando per il nascente corpo d’armata, soprannominato appunto Legione Cecoslovacca.
Con la Rivoluzione d’ottobre, Masaryk tenne a bada i suoi nei dintorni di Kiev. Si dichiarò neutrale rispetto agli affari interni russi ma comprese come una simile questione potesse compromettere la posizione dei suoi circa 60.000 uomini. La pace di Brest-Litovsk dei bolscevichi con gli Imperi centrali e la proclamazione della Rada (il parlamento ucraino) nel gennaio ’18 complicarono un quadro già di per sé ingarbugliato. La Legione Cecoslovacca era un’armata straniera in un territorio in preda all’anarchia, per di più formalmente in pace con gli eserciti che avevano giurato di combattere per l’indipendenza. Come risolvere siffatta situazione? Il Consiglio nazionale cecoslovacco trovò un accordo con nazionalisti ucraini e bolscevichi. Per continuare a combattere sul Fronte Occidentale, la Legione Cecoslovacca sarebbe stata trasferita a Vladivostok, da lì avrebbe preso una nave per gli Stati Uniti d’America, raggiungendo infine l’Europa.

La Legione iniziò il trasferimento su treni lungo la Transiberiana nel marzo 1918. Tuttavia, le tensioni con le autorità sovietiche portarono a scontri armati con l’Armata Rossa. In maggio, i legionari controllavano lunghi tratti della lunghissima ferrovia. Ancora nel mese di luglio, mentre le forze cecoslovacche avanzavano verso Ekaterinburg, il governo bolscevico, temendo che la Legione liberasse lo zar Nicola II e la sua famiglia, ordinò la loro esecuzione .Nei fatti da loro dipendevano le sorti della guerra civile nello scenario siberiano. Fino a settembre andò in scena una sorta di “guerriglia ferroviaria” per il controllo dei principali snodi fino alla costa orientale. Malgrado le evidenti difficoltà, a settembre i cecoslovacchi celebrarono il controllo sistematico su 10.000 km circa di tratto ferroviario, da Penza sul Volga fino al porto di Vladivostok sul Pacifico. Un traguardo che per alcuni, in Europa, giunse troppo tardi.

Sul Fronte Occidentale l’esito della guerra era ormai segnato. Gli americani contribuirono a dare le ultime spallate al traballante Impero tedesco e dei legionari cecoslovacchi non c’era più così tanto bisogno. O meglio, magari potevano tornare utili, ma in funzione anti-bolscevica! Non solo, il mantenimento della Transiberiana non avrebbe permesso il rimpatrio dei prigionieri austro-ungarici e tedeschi. Al contempo avrebbe costretto gli Imperi centrali a conservare delle truppe a est. In quel gran polverone che fu la guerra civile russa, la Legione Cecoslovacca appariva all’Intesa come la vera “punta di lancia” della formazione controrivoluzionaria.

Si spiega così il sostegno dei 70.000 legionari ai vari (nonché effimeri) staterelli sorti in seguito a rivoluzioni socialiste anti-bolsceviche e anti-reazionarie. Così come diventa più facile analizzare il timido appoggio riservato alla dittatura militare instaurata dall’ammiraglio Aleksandr Vasil’evič Kolčak, per due anni comandante supremo dell’Armata Bianca nella Russia centro-orientale. A quel punto una serie di fattori fecero capire agli ufficiali cecoslovacchi come fosse giunta l’ora di tornare a casa:
- In Europa la guerra era terminata da mesi e uno Stato indipendente cecoslovacco esisteva dopo la firma del Trattato di Saint-Germain.
- La nuova Repubblica Cecoslovacca era impegnata in combattimenti contro l’Ungheria del comunista Béla Kun.
- I vertici della Legione Cecoslovacca compresero di essere delle pedine all’interno di un gioco che non aveva più senso continuare.
- Nella seconda metà del 1919 gli Alleati si disimpegnarono dalla Russia; non restava che replicare per i legionari.
Preso Kolčak in custodia preventiva dopo la sua disfatta contro le Guardie della rivoluzione, i legionari lo consegnarono a quest’ultime in cambio del lasciapassare per Vladivostok. Tra marzo e settembre 1920, 56.000 legionari, 6.000 civili cechi e 2.000 fra donne e bambini lasciarono la Russia orientale per tornare in Europa. Terminava così l’odissea della Legione Cecoslovacca.