A seguito dell’attentato agli Champs-Elysees nel 2017, in terra transalpina si è celebrato un matrimonio post-mortem, o postumo che dir si voglia, tra i poliziotti Etienne Cardiles e Xavier Jugelè, quest’ultimo venuto a mancare in occasione dell’atto terroristico. Colpisce la dinamica dei fatti e non è un caso che ciò avvenga. La Francia, infatti, è ad oggi l’unico paese dell’area occidentale (comunque unico in Europa) a permettere tale tipo di unione. La domanda sorge spontanea: perché?
Per dare una risposta precisa, dovremmo fare un passo indietro nel tempo. Spostando le lancette del tempo, ritorniamo velocemente agli anni della Prima Guerra Mondiale. In una situazione in cui gli uomini morivano in massa al fronte, paesi come la Germania del Kaiser Guglielmo II o la Francia nel pieno della sua Terza Repubblica istituirono la pratica del matrimonio post-mortem. Intuire il perché non è difficile: tante, tantissime vedove volevano garantire una forma di legittimazione ai figli naturali nati mentre i padri versavano il loro sangue sul fronte occidentale. L’evoluzione del contesto storico portò Berlino a cambiare idea sull’argomento, stessa cosa per la Francia che mise in pausa la necrogamia.
Esatto, la sospensione della prassi durò fino al 1959, anno del disastro del Fréjus, sul quale vorremmo spendere due parole, anche come forma di rispetto per quelle 423 vittime che, nonostante la portata della sciagura, non hanno mai avuto modo di conoscere giustizia. Nel 1950 il governo francese, riprendendo un’idea che in realtà aleggiava fin dal secolo prima, decise di concedere all’esperto ingegnere francese André Coyne la costruzione di una diga sul torrente Reynan. L’uomo, che in materia di dighe sapeva il fatto suo (70 strutture di contenimento idrico realizzate in 14 paesi differenti) indicò la gola del Malpasset come luogo in cui dare vita all’opera di sbarramento.
Senza impelagarci in dettagli burocratici e ingegneristici, è certificata una sorta di superficialità nel costruire la diga. I documenti attestano come una serie di indicazioni geologiche (e non solo) non favorissero la realizzazione dell’argine in quel punto. A ciò aggiungiamo diverse avarie come: l’assenza di un trabocco, il cemento non adeguatamente spesso, la valvola di sfogo non idonea, la scarsità dei controlli. Tutti fattori che si sommarono tristemente alle piogge torrenziali datate 2 dicembre 1959. Un giorno che in quella località della Costa Azzurra è rimasto impresso.
L’acqua sfondò il traballante cemento della diga nella prima serata, formando un’onda di 50 metri. Questa assunse presto una velocità di circa 70 km/h, travolgendo tutto ciò che incontrava durante la discesa a valle. Quando arrivò nei pressi del comune di Fréjus aveva perso un po’ di potenza, ma ciò non bastò a risparmiare il paese. Morirono in 423 e nessuno, successivamente, pagò per quelle persone. La giustizia francese non considerò l’evento un errore umano, ma neppure una fatalità naturale. Un limbo che permise alle assicurazioni di non cacciare neppure una lira, o meglio, un franco.
De Gaulle, nei giorni seguenti, volle recarsi di persona sul posto, in modo da far sentire la presenza delle istituzioni. Una vedova, che aveva perso il compagno a causa del disastro, pregò il presidente di fare qualcosa in merito alla sua situazione. La donna sarebbe dovuta diventare moglie di lì a poco, se non fosse stato per il cedimento della diga. De Gaulle un mese dopo il disastro riportò in auge il matrimonio post-mortem, pratica che vige ancora oggi in Francia.