A seguito dell’invasione tedesca e dell’armistizio del 1940, si conclude l’esperienza della Terza Repubblica francese e si spiana la strada alla nascita della Francia di Vichy, nel luglio dello stesso anno. Il governo di Vichy, lungo tutti gli anni del secondo conflitto mondiale, sarà indipendente sulla carta, de facto agirà come uno stato fantoccio agli ordini di Berlino. I suoi rappresentanti svolgeranno un ruolo rilevante nell’accontentare le richieste tedesche per quanto riguarda una generale collaborazione, la quale si risolverà in drammatiche decisioni dal triste esito. Analizziamo assieme i volti di quello stato che durò dal 1940 al 1944.
Impossibile non iniziare dal vertice della Francia collaborazionista: il maresciallo Philippe Pétain. La scelta di affidare le redini del nuovo paese ad un eroe nazionale francese appariva sensata già ai tempi. Soprannominato il “leone di Verdun” per le sue mirabili gesta durante la Prima Guerra Mondiale, Pétain divenne capo di stato nel 1940, rendendo man mano il suo potere intoccabile. Firmò leggi antisemite, collaborò con i nazionalsocialisti, non si oppose al decisionismo dell’Asse, cercò di reprimere le voci di resistenza. Nonostante ciò rimase popolare presso i francesi. Con il governo provvisorio di de Gaulle, i tribunali lo dichiararono colpevole, computando la pena di morte, poi modificata in ergastolo. Il maresciallo di Vichy si spense nel 1951.
Insolita è la parabola di René Bousquet, segretario generale della polizia di Vichy. Bousquet agì in modo ambiguo, ragion per cui i suoi anni post bellici trascorsero tra accuse e ripensamenti sul suo coinvolgimento nelle losche decisioni tedesche. Sì, la testa dell’apparato poliziesco non si contrappose agli ordini di deportazione e sterminio, ma è provato che sottobanco aiutò alcune frange della resistenza. Egli trascorse il resto della guerra in Germania; dopo di che scontò qualche anno di indignité nationale entrando negli anni ’50 in affari. Non solo, Bousquet tornerà anche in politica sostenendo Mitterrand. Morirà assassinato nel 1993.
Chi sfuggì alla giustizia fu l’ex commissario per gli affari ebraici nella Francia di Vichy: Louis Darquier de Pellepoix. Uomo dalle ferme convinzioni antisemite, simpatizzante dei regimi totalitari europei, entusiasta per la piega che prese la guerra nei primi anni ’40, Darquier fece di tutto per accontentare gli ordini tedeschi. I rastrellamenti, le retate anti ebraiche, la logistica dietro le deportazioni; in tali questioni ci mise lo zampino Louis Darquier. Condannato in contumacia dalla Francia nel secondo dopoguerra, egli fuggì nella Spagna di Franco, nella quale visse felice e contento, fino alla morte, avvenuta nel 1980 nei pressi di Malaga.
Contrariamente al predecessore in questa lista, Pierre Laval, principale responsabile della politica collaborazionista di Vichy, non evitò la condanna. Raccontare la storia di Laval durante gli anni d’interesse significa raccontare per filo e per segno ogni azione che lo stato fantoccio intraprese in nome di un folle progetto: garantire alla Francia un posto di rilievo in un’Europa comandata dalle forze dell’Asse. Dopo la liberazione, il 4 volte Presidente del Consiglio tentò la fuga, fallendo. L’Alta Corte di Giustizia lo condannò alla fucilazione, eseguita il 15 ottobre 1945.
Non ha molto senso concludere con frasi ad effetto, piuttosto vorremmo lasciarvi con una piccola informazione, che ci fa capire il lato grottesco dell’intera vicenda. A seguito della guerra, solamente 4 alti funzionari della Francia di Vichy sono stati processati per crimini contro l’umanità, solo quattro, non di più. Riflettiamoci sopra.