Eccoci di nuovo qui con la serie dedicata ai regimi militari del Sudamerica durante la seconda metà del XX secolo. Dopo Brasile, Argentina e Cile, oggi facciamo tappa in Uruguay. La situazione che portò al colpo di stato sul suolo uruguagio affonda le sue radici negli anni ’60. In questo periodo, dal ’66 esattamente, salì al potere il generale in pensione Oscar Gestido, candidato con il Partido Colorado. Dopo 15 anni di colegiado, un sistema governativo collettivo, l’Uruguay era chiamato al cambiamento.
In realtà ben poco cambiò con Gestido e come conseguenza diretta sorse il movimento dei Tupamaros. Si trattava di bande di guerriglia armata ispirate alla figura di Tupac-Amaru, eroe e martire peruviano dell’indipendenza sudamericana. Si trattava di intellettuali e proletari, studenti e borghesi. Tutte le classi lottavano per il cambiamento.
Alla morte di Gestido, nel ’67, fu Jorge Pacheco Areco a prendere il potere e a provare a contrastare i guerrilleros. Vennero così sciolti tutti i partiti di sinistra e le opposizioni vennero fortemente limitate, tramite soprattutto la sospensione dei loro principali quotidiani. In questo periodo ci fu anche il celebre sequestro dell’ambasciatore inglese Geoffrey Jackson.
Arriviamo dunque al nefasto anno 1972. In questo frangente storico prese il potere Juan Maria Bordaberry, che come prima cosa dichiarò lo stato di guerra. Surclassò i guerriglieri e riuscì ad arrestare il loro capo, Raul Sendic Antonaccio. L’anno dopo, il 27 giugno, tramite la radio annunciò il colpo di stato, lo scioglimento del parlamento e la creazione di un nuovo organo “costituzionale”: il Consejo de Estado. Chiaramente il dittatore sospese anche le garanzie costituzionali .
Iniziò un regime dittatoriale, caratterizzato da escalation di violenza continua. Il regime totalitario di Bordaberry durò un decennio. Cittadini di ogni classe sociale, oppositori veri o ritenuti tali, vennero duramente perseguitati e uccisi. Nel periodo di dittatura furono circa 7.000 le vittime di torture, sparizioni e uccisioni.
Con il referendum per la modifica costituzionale respinto con il 56% dei voti nel 1980 si ebbe il proverbiale “inizio della fine”. Nel 1981 salì al potere Gregorio Alvarez che nel 1984 si accordò con gli altri partiti per avere elezioni libere. Nel 1985 finalmente il governo tornò, tramite elezioni democratiche, in mano ai civili. Questo è un altro pezzo del frammentato puzzle delle dittature militari sudamericane.