Il 15 novembre del 1884 il cancelliere tedesco Otto von Bismarck fece gli onori di casa, introducendo i rappresentanti delle più grandi potenze mondiali ai diversi ordini del giorno. Sì, perché in quel dì tardo estivo l’Occidente imperialista aveva deciso di riunirsi all’ombra della Porta di Brandeburgo così da dirimere le ultime questioni spinose sulla spartizione del continente africano. Tutti, ma proprio tutti, avrebbero partecipato all’evento che poi sarebbe passato alla storia come Conferenza di Berlino.
E pensare che nelle idee del Cancelliere di ferro la rimpatriata berlinese doveva servire prima di tutto a far sbollentare gli animi inquieti delle potenze coloniali più affamate, leggasi Francia, Inghilterra, Portogallo e un Belgio che per via del suo ambizioso e spietato sovrano aveva attirato le attenzioni dei più. Facendo gli interessi del proprio impero, i quali basavano la propria ragion d’essere sull’equilibrio politico ed economico su scala internazionale, Bismarck voleva evitare che lo Scramble for Africa degenerasse in una guerra globale. Il succo del discorso fu proprio questo: la Conferenza di Berlino, che durò la bellezza di tre mesi fino alla metà del febbraio 1885, funse da teatro sul quale palco i grandi del mondo regolamentarono il loro tipo di colonialismo.
Ma cosa intendiamo per “grandi del mondo” esattamente? Facciamo nomi e cognomi. Nelle vesti di parti interessate direttamente si presentarono a Berlino: Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, Francia, ovviamente l’Impero tedesco, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Spagna e Stati Uniti. In aggiunta “allo scopo di assicurare alle risoluzioni della conferenza l’assenso generale” l’invito fu recapitato anche a paesi non propriamente interessati ma in potenza partecipi del grande gioco africano. Nell’ordine erano: Austria-Ungheria, Svezia-Norvegia, Danimarca, Italia, Impero ottomano e Russia zarista.
Le questioni più cocenti e d’immediato interesse per la Conferenza di Berlino erano le seguenti:
- Contrasto anglo-francese in Nord Africa: Londra e Parigi si contendevano il controllo dell’Egitto, a maggior ragione dopo l’apertura del canale di Suez. Nel 1875, approfittando delle difficoltà finanziarie del governo egiziano, gli inglesi riuscirono ad acquisire le sue azioni. La corona inglese divenne quindi la maggiore azionista della Suez Canal Company. Sette anni dopo, nel 1882, gli egiziani protestarono per il coinvolgimento e l’ingerenza straniera nei loro affari interni. Con pacatezza e parsimonia, L’Impero britannico occupò il paese. Una svolta che allarmò la Francia, timorosa di perdere influenza su un’area di mondo cruciale.
- Congo: Francia, Belgio, Portogallo e Inghilterra si stavano surriscaldando e non poco per la questione congolese. Gli interessi in gioco per una terra virtualmente ricca di risorse erano veramente tanti. L’espansionismo europeo in loco rischiava di sfociare in una guerra aperta. A riprova dell’importanza e della centralità della questione, la Conferenza di Berlino è anche nota come Conferenza dell’Africa Occidentale o Conferenza sul Congo (la storiografia teutonica si riferisce all’evento come Kongokonferenz).
Il caso del Congo merita un approfondimento. Giornali e riviste, tanto del Vecchio Continente quanto d’oltremare, intrattenevano regolarmente i loro lettori con avvincenti storie delle più famose missioni esplorative. Spesso le redazioni assumevano dei reporter e li pagavano a dovere per far sì che andassero direttamente in Africa. Esempio noto è quello del 1871, quando il New York Herald inviò il giornalista Henry Morton Stanley nell’Africa centrale per rintracciare il leggendario (e controverso) David Livingstone, partito in missione per cercare le sorgenti del Nilo e di cui non si aveva notizia da un bel po’.
La ricerca di Stanley attirò l’interesse di una testa coronata, al vertice di un “piccolo” regno: Leopoldo II del Belgio. Egli stava già mettendo in atto una politica espansionistica aggressiva in Africa. Intendeva servirsi di Stanley per perseguire i suoi obiettivi nell’area circostante al bacino del fiume Congo. Forte di tali propositi negli anni ’70 dell’Ottocento, sorse il Comité d’études du Haut-Congo (Comitato di studi dell’alto corso del fiume Congo) di cui re Leopoldo, guarda un po’, era il principale finanziatore, assieme ad un folto gruppo di banchiere ed industriali. Come detto, Stanley ricevette l’incarico esplorativo dalla corte di Bruxelles e partì per l’Africa centro-occidentale.
Una missione non semplice, ma che portò ai suoi frutti. Dal 1879 al 1882 il reporter americano esplorò le aree circostanti il fiume Congo, negoziando trattati (spesso tradotti mali per dichiarati fini imperialistici) con i capi locali e studiando come aprire il bacino al commercio e alla colonizzazione. Così nel 1884, poco prima della Conferenza di Berlino, Leopoldo II dichiarò la sua rivendicazione sull’intero Congo. Sia chiaro questo aspetto: era una rivendicazione personale, non a nome dello Stato belga. Sulla carta quelli sarebbero dovuti diventare territori della corona. Un dettaglio che fa tutta la differenza di questo mondo.
Così come Leopoldo faceva valere i suoi di interessi in Congo, altresì facevano Francia, Inghilterra e Portogallo. Ecco dunque a cosa serviva la riunione berlinese, a sbrigliare questa situazione intricata. I tre punti sui quali Bismarck insistette particolarmente furono: garanzie sui diritti di commercio nel bacino del Congo; stabilire la libertà di navigazione sui fiumi Niger e Congo; una concordata regolamentazione sulla futura ed eventuale colonizzazione dei territori africani.
Ciliegina sulla torta, tutte le potenze occidentali partecipanti alla conferenza riconobbero l’autorità personale di Leopoldo II sul neonato Stato libero del Congo. Nome più sarcastico e beffardo di questo non si poteva scegliere. Nel frattempo i firmatari degli accordi berlinesi giuravano di tenere fede a determinati impegni, ammantati di quel sacro ed inviolabile diritto europeo ad esportare la civiltà dove essa è nulla o carente. E poco importava se “esportare la civiltà” significava sottomettere con la forza delle armi, sfruttare, estorcere, schiavizzare, denigrare, stuprare intere popolazioni native.
Lungi dal rallentare la corsa per il dominio dell’Africa, la Conferenza di Berlino accelerò il processo imperialista occidentale. Anzi, lo rese più formale di quanto già non lo fosse in precedenza. All’indomani della Prima Guerra Mondiale, circa il 90% del continente africano batteva bandiera europea. Solo la Liberia e l’Etiopia rimasero indipendenti. Quest’ultimo caso poi è a noi ben noto, visti i risvolti della guerra d’Abissinia…
Jules Ferry, ex Presidente del Consiglio dei ministri della Francia, si esprimeva così sulla questione del colonialismo francese in Africa:
«Dobbiamo dire apertamente che in effetti le razze superiori hanno un diritto sulle razze inferiori… Ripeto, che le razze superiori hanno un diritto perché hanno un dovere. Hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori».