Questa è la storia di una compagnia di ventura, comandata da uomini oltre modo ambiziosi, che per buona parte del Trecento detenne le redini militari, politiche e diplomatiche del Vicino Oriente. Una brigata multietnica ed extra-nazionale di uomini pronti a tutto pur assicurarsi la gloria sul campo e la ricchezza per “vie traverse”. In definitiva, questa è la storia della Compagnia Catalana, un nome che forse non vi dirà nulla, ma che se pronunciato in territorio bizantino all’incirca 700 anni fa, avrebbe fatto tremare i polsi di un bel po’ di persone, ve lo assicuro.
La Compagnia Catalana ebbe un padre fondatore: Roger de Flor o, se preferite la versione italiana, Ruggero da Fiore. Ex comandante templare distintosi nella difesa di San Giovanni d’Acri (1291) nonché capitano della Falcone, la nave più grande di cui l’Ordine disponesse al tempo, stabilmente attraccata al porto di Brindisi. Accusato di disonestà e tradimento, i Templari lo allontanarono. Così de Flor dovette reinventarsi. Esperto combattente, assetato di fama ed eccezionalmente carismatico, decise di sottoporsi in qualità di mercenario all’autorità di Federico III d’Aragona. Era l’inizio del XIV secolo e la prima guerra del Vespro (1282-1302) tra angioini ed aragonesi volgeva al termine.
Re Federico concesse a Roger il comando della neonata Compagnia Catalana. Nelle sue fila il da Fiore arruolò prevalentemente “Almogarvi“, termine per indicare aragonesi e catalani provenienti dalle montagne iberiche del nord-ovest. Uomini rudi, spietati, certamente coraggiosi, addirittura indifferenti di fronte al pericolo mortale. A capo di questa schiera, de Flor protesse valorosamente Messina nel 1302 in quello che fu uno degli ultimi colpi di coda degli Angiò nel meridione italiano. Di lì a poco arrivò la nota Pace di Caltabellotta (1302) e gli aragonesi, legittimi sovrani di Sicilia, si ritrovarono una patata bollente tra le mani. Cosa farsene di un assordante, nonché oneroso, gruppo di mercenari senza impiego? Ebbene la risposta risiedeva ad est, per l’esattezza sulle sponde del Bosforo.
Il basileus Andronico II Paleologo offrì un contratto alla Companyia Catalana d’Orient: aiutare Costantinopoli a respingere le sortite del Turco in cambio di laute ricompense. Iniziò così il secondo capitolo di questa storia. In Anatolia Roger de Flor si contraddistinse ancora una volta per le sue qualità di comando e gestione della truppa. I suoi conquistarono Filadelfia, Magnesia ed Efeso, proseguendo le operazioni fino al 1304. La Compagnia Catalana riuscì, vittoria dopo vittoria, a raggiungere le Porte di Ferro, alle pendici del Tauro cilicio. Il successo convinse la corte imperiale ad impiegare la compagnia di ventura anche sul fronte settentrionale.
Ora però è necessario soffermarsi su una questione fin qui volutamente tralasciata. Il passaggio degli Almogarvi causava ogni volta dissidi con la popolazione locale, depredata e maltrattata dai mercenari. Lentamente – nonostante i successi sotto la luce del sole – il basileus (in particolar modo suo figlio, il futuro imperatore Michele IX Paleologo) si convinse di dover interrompere, per il bene dei suoi sudditi, quella travolgente spregiudicatezza. Quando Roger de Flor raggiunse la penisola di Gallipoli, in attesa di marciare verso nord contro i bulgari, una lettera col timbro imperiale lo fermò. Il contenuto dell’ordine era chiaro: interrompere le operazioni. Sullo stretto dei Dardanelli si materializzò tuttavia un’altra questione. Un vecchio commilitone del da Fiore si aggregò, portando in dote navi e uomini. Quell’uomo si chiamava Berenguer d’Entença.
Così dal 1305 la Compagnia Catalana divenne enorme, per numero di unità e per quantitativo d’armamento. Curioso notare come in questo momento entrarono a far parte della compagnia molti diseredati, prelevati dalla Sicilia, dai Balcani, dall’Italia continentale; persino reietti turchi si unirono alla causa. Essa poteva avanzare pretese che andassero oltre il semplice pagamento pecuniario. Il capitano di ventura (divenuto nel frattempo Cesare e megadux dell’impero; a Berenguer d’Entença spettò altresì il titolo di granduca) chiese perciò il controllo dell’intera Anatolia in cambio dei servigi fino ad allora prestati. Un affronto senza mezzi termini per Bisanzio. Ed ecco che una cena tra Michele IX Paleologo e Ruggero da Fiore si tramutò nell’inizio della fine. Il primo fece assassinare il secondo da un gruppo di mercenari alani. Era il 30 aprile 1305. Tuttavia se pensate che la vicenda della Compagnia Catalana muoia col suo creatore, vi sbagliate di grosso.
Berenguer impedì lo sbandamento dei suoi uomini ed anzi, li fomentò contro Costantinopoli, rea di aver attentato alle fortune della compagnia. Il nuovo capitano mise a ferro e fuoco l’intera Tracia, poi fu il turno della Tessaglia. Federico III d’Aragona, che non nascondeva l’interesse per il trono bizantino, cercò di riportare sotto la sua ala l’imponente gruppo di mercenari. Ricordiamo come all’epoca la Compagnia contava all’incirca 1.500 cavalieri, 3.000/4.000 fanti, 35 galere e ulteriori piccole imbarcazioni. Il tentativo del sovrano aragonese ebbe successo solo in parte. Di fatto la paventata obbedienza al re di Sicilia spaccò in due fazioni la compagnia. I due partiti giunsero alle armi e prevalse quello contrario alla sottomissione aragonese. Ciò comportò la morte del filo-aragonese Berenguer d’Entença nel 1307.
Una rinnovata Grande Compagnia si pose al servizio del Duca d’Atene Gualtieri V di Brienne (padre di quel Gualtieri VI di Brienne, il Duca d’Atene di cui a Firenze conservano un certo ricordo…). Il nobile francese intendeva riconquistare il Ducato di Neopatria (entità nata dalla dissoluzione del regno latino di Tessalonica). In effetti, forte della Compagnia Catalana, vi riuscì. Di punto in bianco accadde l’irreparabile: Gualtieri smise di pagare i mercenari. Non una mossa intelligente, se posso dire. Gli Almogarvi si ribellarono a quella sconsiderata decisione e giurarono battaglia al Duca d’Atene. Battaglia che ebbe luogo ad Halmyros il 15 marzo 1311. Vinse la Compagnia Catalana, che mantenne saldo il suo controllo nell’area non per qualche anno, ma per qualche decennio!
L’Attica e la Beozia non conobbero altro padrone se non la Compagnia Catalana, almeno fino al tramonto del XIV secolo. Le mogli degli uomini trucidati ad Halmyros si risposarono con i mercenari, che quindi si stabilirono in un territorio effettivamente di loro competenza, anche se nominalmente facente parte di un impero allo sbando. La corona aragonese di Sicilia ne approfittò e accontentò la richiesta catalana di legittimazione, mandando un proprio legato a governare de iure quelle terre.
Questa storia, fatta di ambizione, sangue, tradimenti e risvolti inattesi, si concluderà nel 1388. L’effimera impalcatura ducale di cui si volle dotare la Compagnia Catalana in Grecia si sgretolò sotto i colpi di un altro capitano di ventura, il fiorentino Neri I Acciaiuoli. Le varie vite di Roger de Flor, Andronico II Paleologo e suo figlio Michele IX, gli stessi Berenguer d’Entença e Gualtieri V di Brienne, dimostrano quanto sia veritiero il proverbio “chi troppo vuole nulla stringe“.