Parlare di città dei Cesari vuol dire evocare immagini ancestrali legate all’antica Roma, almeno nella mente di chi ascolta (o legge). La costruzione di un’immagine positiva è propedeutica al successo dell’oggetto o del soggetto che si vuole porre in evidenza. Ma la città di cui parliamo non è Roma.
Stiamo parlando infatti dell’America, che, da quando è stata “scoperta” nel 1492 da Colombo, crea e importa immagini sensazionali in chi vive lontano da essa.
In particola il nome e la scoperta di tale città è legata a Francisco César, uno degli esploratori meno conosciuti del periodo delle grandi spedizioni.
Alla guida di un’esplorazione del Rio de la Plata, César, era sotto il comando di un altro grandissimo e molto più famoso esploratore: Sebastiano Caboto.
Con un drappello di uomini, 14 per la precisione, César arrivò nella Sierra della Plata, ovvero la collina di Potosì.
Ma la storia, si sa, non è sempre beffarda. Così come Cabral, sospinto dagli Alisei, nel 1500 scoprì fortuitamente il Brasile, anche César fortuitamente entrò in contatto con i superstiti di una spedizione di una decina di anni prima: la spedizione guidata da de Solìs.
Questi raccontarono ai nuovi esploratori e a Caboto in particolare, di tale città dell’oro e dell’argento.
Caboto non ci mise tanto a cambiare i suoi piani. Non si cercava più la Sierra della Plata ma la città dei Cesari. Caboto fondò Sancti Spiritus, una cittadina che fungeva da scalo in caso di successo per le nuove spedizioni, e fu il primo nucleo spagnolo in Sudamerica.
Non si arrivò mai però ufficialmente a tale città e le successive spedizioni furono fallimentari. In una di queste però César incontrò nuovamente Sebastiano Caboto che gli consegnò un manoscritto, oggi purtroppo perso. In questo raccontava di una città idilliaca, piena d’oro, materiali preziosi e bellezze di ogni genere. Trapalanda, la città dei Cesari o il regno perduto degli Inca, non si sa di cosa si tratta. Ma su una cosi siamo sicuri, è una bellissima storia.