Nello scegliere una sola attrazione, che sia rappresentativa ed emblematica dell’intera Costiera amalfitana, si cade nella pericolosa spirale dell’esitazione. Come fare? Con quale criterio scegliere? È un gioco malsano, al quale partecipare solo se privi di una sensibilità per il bello e il gusto artistico. Però faccio uno sforzo, anche se immane, e scelgo la Cattedrale di Sant’Andrea, nel centro – che più centro non si può – di Amalfi. A mio parere una delle opere architettoniche più suggestive dell’intero Mezzogiorno. Voglio raccontarvela attraverso diverse lenti: storiche, artistiche e tecniche. Per quanto possibile, non mancherò di soffermarmi su curiosità e leggende, in grado di rivestire l’edificio di culto di quel manto tradizional-popolare che tanto adoriamo noi italiani.
Un po’ di storia prima, shall we? L’origine dell’altresì noto duomo di Amalfi è da ricercare nell’unione di due strutture fra loro inizialmente slegate. L’edificio più antico risaliva agli esordi del IX secolo e prendeva il nome di basilica del Crocifisso. Questa a sua volta era erede di una costruzione paleocristiana (di cui ancora oggi si conservano sporadiche tracce). La seconda struttura risale invece al X secolo, per la precisione al 987, anno in cui il duca Mansone I sovvenzionò la sua realizzazione. Basilica del Crocifisso e duomo, entrambi a tre navate, finirono per unirsi dopo l’anno Mille in un’unica magniloquente cattedrale di ben sei navate.
Amalfi, repubblica marinara tra le più antiche e famigerate (guai a chi ne ricorda solo quattro…), mutò spesso e volentieri il suo aspetto a seconda dello stile artistico in voga. Dal retaggio romanico-bizantino si passò al barocco, poi rococò con sprazzi di neomoresco. Evoluzioni e rimaneggiamenti che hanno riguardato tanto la città quanto il suo simbolo, il duomo. Se vogliamo, è proprio la sopracitata commistione di stile architettonici a rendere la Cattedrale di Sant’Andrea un’assoluta gemma del territorio.
Giusto per spendere due parole sulla parte più antica dell’edificio: la basilica del Crocifisso (che assunse questo nome a partire dal Trecento, visto il fastoso crocifisso posto sull’abside medievale) in tempi arcaici era nota come basilica dell’Assunta. Del nucleo più antico si ha prima attestazione solo nel VI secolo. Non male come riferimento temporale, dato che solo cento anni prima era stata “rifondata” dai Romani in fuga dalle invasioni barbariche. Tuttavia è con il Chronicon Salernitanum, documento in latino del X secolo, che apprendiamo più sulla sua storia. Dal testo si evince come un principe longobardo di Salerno, tale Sicardo, finì per devastare la chiesa nell’839 per astio nei confronti di Amalfi. Dal nefasto episodio scaturì la volontà, precedentemente citata, di Mansone I nel ricostruire la cattedrale, favorito dai denari che il soglio pontificio faceva accorrere sin dai tempi di Leone VI per alimentare la ripresa della città.
Pocanzi si è detto dell’unificazione strutturale delle due chiese. Tre sono gli interventi rilevanti in tal senso. Uno risale al 1226, quando l’arcivescovo Filippo Augustariccio ordinò l’abbattimento di una navata di matrice paleocristiana per costruire il Chiostro del Paradiso. Si trattava di un cimitero d’élite per gli aristocratici amalfitani. Decisamente più intrusiva fu l’operazione di ristrutturazione in concomitanza con il Concilio di Trento (1545-1563). Le maestranze buttarono giù un’intera sezione dell’ex basilica del Crocifisso creando ex novo delle cappelle gentilizie. L’ultima grande modifica strutturale è, a dire il vero, abbastanza “recente”. Nel 1861 – non proprio un anno qualunque – un mix di temporali violenti e raffiche di vento oltremodo distruttive contribuirono a demolire la facciata del duomo (di cui esiste un dipinto degli anni ’40 dell’Ottocento che potete ammirare qui sotto).
L’unione delle conoscenze architettoniche di Errico Alvino e storiche di Matteo Camera fece la forza. Il restauro cercò di mantenersi quanto più fedele allo stile precedente. Difficile valutare la riuscita dell’intento, viste le critiche coeve riservate ai lavori, giudicati fin troppo libertini. Contemporanei, nella fattispecie ottocenteschi, sono i mosaici sulla facciata del duomo amalfitano: il Cristo con gli evangelisti a circondarlo sono un’opera firmata Domenico Morelli.
Quello della seconda metà del secolo non fu l’unico restauro fautore di controversie. Più aspramente dibattuto fu quello compiuto durante il Ventennio. I lavori che iniziarono nel 1931 si ponevano come obiettivo la rimozione di tutte quelle sovrastrutture barocche che, stando ai libri mastri del tempo, “appesantivano l’edificio tanto in termini di stile quanto di stabilità”.
Al di là delle dispute tipiche del Bel Paese, mi concentrerei sullo splendore di alcune chicche che la Cattedrale di Sant’Andrea può giustamente vantare. Si citi ad esempio la porta in bronzo – fusa e modellata a Costantinopoli – donata dal mercante Pantaleone de Comite Maurone nell’XI secolo. Il portone ha una valenza simbolica impossibile da ignorare. Esso raffigura quattro personaggi: Cristo, la Vergine Maria, San Pietro e Sant’Andrea. Secondo tradizione, quest’ultimo era il santo patrono di Costantinopoli, fino a quando le sue reliquie non furono traslate proprio ad Amalfi nel XII secolo.
Tante le trasfigurazioni, radicali i mutamenti strutturali ed architettonici. Fattori che, camminando al suo interno, si notano eccome. Eppure lo splendore del duomo di Amalfi non è secondo a nessuno: degno di una città così affascinante, che tanto ha dato alla nostra storia e a cui molto noi dobbiamo.