Storia Che Passione
La caduta dei Longobardi e l'ascesa di Carlo Magno

La caduta dei Longobardi e l’ascesa di Carlo Magno

Un matrimonio, quello fra Carlo Magno e Desiderata, che nelle idee di molti doveva rappresentare un principio di connubio tra due potenze rilevanti nel contesto europeo di fine VIII secolo. Da una parte i Franchi – nell’anno delle nozze, il 770, governati alla pari dai fratelli Carlo e Carlomanno – dall’altra i Longobardi – quest’ultimi facenti capo al re Desiderio. All’unione avrebbe dovuto far seguito un lungo, prospero e proficuo periodo di pace. Il condizionale doveva apparire obbligatorio anche al tempo, visto che l’avvicinamento tra i due regni conobbe una pesante battuta d’arresto quando Carlo ripudiò la sposa già nel 771. Motivi concreti non se ne conoscono, ma è da questo assunto che parte la nostra narrazione, alla fine della quale un regno longobardo in Italia non esiste più (o meglio, esiste ma solo de iure) e Carlo Magno si cinge la testa di una corona, la più pesante, quella imperiale.

La caduta dei Longobardi e l'ascesa di Carlo Magno

Tra le personalità più influenti alla corte d’Aquisgrana ad aver pianificato quel matrimonio politico vi era la madre di Carlo, Bertrada, la quale certamente poteva vantare l’accordo con il sovrano longobardo. L’intesa saltò e i contraenti corsero ai ripari; ergo, si tentò un secondo avvicinamento ma per vie traverse. Una di queste “vie traverse” prendeva il nome di Carlomanno, fratellino di Carlo. Le avances diplomatiche che da Pavia raggiungevano il Regno dei Franchi, sponda Carlomanno – già marito di una principessa longobarda – ebbero vita breve. Il re dei Franchi morì nel dicembre del 771, lasciando lo scettro del potere al solo Carlo.

Brutta situazione per Desiderio, che si rese conto di essere ancor più isolato quando al soglio pontificio salì Adriano I, uomo affine a Carlo, forse anche troppo (leggende parlano di un vincolo sanguigno tra i due…). In extremis il re dei Longobardi aprì dei canali diplomatici con Roma e chiese al papa di riconoscere i figli del compianto Carlomanno degni dell’eredità regale. Papa Adriano temporeggiò troppo per i gusti di Desiderio, il quale ordinò al suo esercito di varcare il confine con il Patrimonium Sancti Petri – infrangendo tutti i trattati fino ad allora stipulati fra Roma e i Longobardi – marciando alla volta dell’Urbe. Più di qualche brividino dovette correre sulla schiena dei prelati sulle sponde del Tevere. Adriano adottò una duplice tattica: preparò al meglio la città all’eventuale assedio e, al contempo, passò all’offensiva minacciando Desiderio di scomunica se il re avesse oltrepassato i confini giuridici del Ducato di Roma.

Carlo Magno Desiderio Longobardi

A voi magari potrà sembrare una sciocchezza ma all’epoca dei fatti non lo era mica. L’anatema valeva davvero qualcosa e Desiderio preferì non sfidare l’autorità pontificia, tornando a nord. Aveva ben altri motivi per correre nell’Italia settentrionale. Nell’estate del 773 Carlo Magno minacciava il confine alpino forte delle sue truppe e, perché no, di qualche tacito accordo con qualche aristocratico longobardo non del tutto fedele all’autorità costituita. Diviso in due l’esercito, l’idea che il re dei Franchi partorì fu essenzialmente semplice: travalicare l’arco alpino in due punti (ad ovest attraverso il Moncenisio, ad est tramite l’odierno passo del Gran San Bernardo, noto agli antichi come Mont Jovis) per stringere in una tenaglia i Longobardi. Il piano d’attacco fu un successone tale da costringere Desiderio a ripararsi a Pavia, capitale del regno, la testa del toro…

Non vi sento, cosa si fa con la testa del toro? Esatto, Carlo Magno cinse d’assedio Pavia e nel 774 la espugnò, facendo crollare l’apparato di potere longobardo e, in definitiva, il regno in sé per sé. Dagli oneri agli onori con il re dei Franchi che, come mai nessun omologo prima di lui, si recò in quel di Roma per incontrare il papa. La costituzione di quell’immenso impero per cui ricordiamo Carlo detto il Grande passava da quell’incontro romano con Adriano I.

Carlo Magno attraversa le Alpi

Nell’Urbe si sanciva Karolus gratia dei rex Francorum ac Langobardorum ac patricius Romanorum ossia “Carlo, per grazia divina, re dei Franchi, dei Longobardi e patrizio romano”. Si capisce il significato della dicitura, vero? Carlo non diveniva sovrano di una nuova entità statale, ma si cingeva il capo di corone già esistenti. Ecco perché si dice che con Pavia il Regno longobardo muore de facto, ma non de iure. Ad ulteriore dimostrazione di ciò, la tolleranza di Carlo nei confronti delle consuetudini dei suoi nuovi sudditi italici.

Precisazioni doverose, le mie, sulle quali spesso si soprassiede, sfortunatamente. Con la conclusione degli anni ’70 dell’VIII secolo, i Franchi soffocarono i fuocherelli di rivolta sparsi lungo la penisola. Ammaestrati gli ultimi potentati longobardi, Carlo tornò a Roma per elevare i suoi figli Carlomanno – poi Pipino – e Ludovico – il Pio, per intenderci – rispettivamente re d’Italia e re d’Aquitania.

Carlo Magno regno franco prima di Pavia

Sul tramontare del secolo, precisamente il giorno di Natale del 795, venne a mancare papa Adriano. A succedere sul trono di Pietro fu Leone III. Un personaggio abbastanza sui generis, anzitutto perché a differenza del suo predecessore non proveniva dal ceto nobile capitolino, bensì da una famiglia di modesta estrazione. Inoltre Leone si discostò da Adriano per la sua “politica romana”. Egli si distinse per una sostanziale diffidenza e la sua velata ostilità indirizzata verso alcuni dei patrizi più in vista della città. Detta in poche parole: in un lampo il nuovo pontefice attirò sulla sua persona innumerevoli inimicizie. Un comportamento che pagò quasi con la vita il 25 aprile 799. Una congiura ordita da alcuni esponenti della più alta aristocrazia romana colpì duramente, ma non irrimediabilmente, il papa.

Leone III, scosso ma non sconfitto, chiese il sostegno di Carlo Magno, al quale si era sempre deferito. Curioso sapere che lo stesso identico sostegno lo domandarono quanti fra i nobili di Roma non sopportavano il pontefice accusato di “lascivia e di spergiuro”. Il re dei Franchi, che non peccava in calcolo politico, prefigurò le conseguenze di un suo eventuale supporto alla causa papale. Se aiutato, Leone avrebbe contratto un debito potenzialmente enorme con Carlo. Ed è esattamente ciò che accadde.

Nel novembre dell’anno 800 si sciolsero gli indugi. Un piano architettato al dettaglio nella corte di Aquisgrana avrebbe cambiato le sorti dell’Europa, una volta per sempre. Leone III fece ritorno a Roma dopo l’esilio in territorio franco. Tornò accompagnato da una scorta militare fornita da Carlo. Si sarebbe discolpato secondo l’umiliante rito del purgatio per sacramentum. La città eterna perdonò – almeno così dicono le fonti vicine a Carlo – il papa il 23 dicembre. Due giorni dopo Carlo avrebbe riscosso il debito.

Carlo Magno incoronazione

Nella notte di Natale re Carlo Magno entrò in una Basilica di San Pietro gremita di fedeli sfoggiando la sua toga patrizia. A seguito della preghiera eucaristica, Leone posò la corona d’oro sul capo del sovrano prostrandosi subito dopo secondo il rito orientale della proskinesis. Questo però è quanto ci dicono Eginardo (biografo di Carlo) e gli annali dei Franchi. Le fonti romane non menzionano il gesto d’adorazione compiuto dalla massima autorità cristiana. L’incoronazione imperiale fu interpretata diversamente a seconda delle parti interpellate. Per Costantinopoli fu un insulto alla sua autorità, unica prosecutrice dell’autentica esperienza romana. Agli occhi dei latini e di Roma, tornava in auge un impero che non era mai cessato di esistere in Occidente. Semmai si era preso una pausa. Invece per i Franchi l’incoronazione rappresentò addirittura un “declassamento” della persona di Carlo. La questione è dibattutissima e non conosce, almeno per ora, spiragli di soluzione.