Ai piedi del ponte dei Morti, sul Rio di San Cassiano, a Venezia, si trova un’incisione a malapena visibile, sbiadita dallo scorrere ineluttabile del tempo. L’occhio attento può ancora oggi farci caso e leggere “1686 ADI’ 18 ZUGNO BUDA FU ASSEDIATA ET ADI’ 2 SETTEMBRE FU PRESA 1686”. Epigrafi del genere si trovano un po’ ovunque nella splendida città lagunare, ma questa in particolare fa riferimento ad un evento storico molto importante, momento spartiacque della storia europea: la presa di Buda, la cessazione del secolare dominio turco in Ungheria e l’inizio di quello asburgico.
Volendo scomodare Tasso, ho parlato di Buda liberata. Ma in riferimento agli eventi dell’estate 1686, si può parlare davvero di liberazione? Dipende dai punti di vista. Sicuramente di gioioso affrancamento poterono parlare le potenze cristiane della Lega Santa voluta da papa Innocenzo XI due anni prima, nel 1684. Nell’immediato non cantarono di certo vittoria il notabilato fedele alla Sublime Porta o la folta comunità ebraica cittadina, entrambi passati a fil di spada dai cristiani entrati in città. Col senno di poi, anche buona parte degli ungheresi giunse a rimpiangere l’esito di quel lungo assedio; adesso capiremo perché. Quale storia vuole raccontarci l’iscrizione veneziana?
Bisogna inquadrare l’episodio nel più ampio contesto della guerra austro-ottomana (la quinta per l’esattezza, stando alla storiografia occidentale). Anche nota come “grande guerra turca di Leopoldo I”, il conflitto si svolse prevalentemente tra Mitteleuropa e parte dei Balcani centro-settentrionali, dal 1683 al 1699. La guerra scoppiò per una concatenazione di motivi legati alla volontà espansiva dell’Impero ottomano, alle sollevazioni anti-asburgiche nel Regno d’Ungheria e al termine naturale di un trattato di pace ventennale (pace di Eisenburg, 1664) siglato da forze cristiane e ottomani.
Forte di un esercito di 150.000 uomini, il Gran visir Kara Mustafa mosse verso Vienna nel 1683 volendo assecondare il desiderio dell’allora Sultano Mehmed IV di mettere mano su ricche porzioni dell’Europa orientale. Vienna visse di nuovo l’esperienza dell’assedio ottomano dopo quello del 1529. Per la seconda volta resistette grazie al salvifico intervento del re di Polonia Giovanni III Sobieski. Dopo Vienna, la tendenza della guerra mutò irreversibilmente. Da Roma, il pontefice Innocenzo XI indisse una crociata contro il turco, prevaricante et ostinatamente oltraggioso. Alla Lega Santa del 1684 aderirono i regni di Spagna, Portogallo e la Confederazione polacco-lituana, le Repubbliche di Genova e Venezia, il Granducato di Toscana, il Ducato di Savoia, l’impero degli Asburgo e in minima parte lo Zarato russo.
Dacché erano gli attaccanti, gli ottomani passarono alla difesa. Tale era il contesto all’indomani del 18 giugno 1686, data in cui – come ci ricorda la targa sul ponte dei Morti a San Cassiano – ricorre l’inizio dell’assedio di Buda. Ad onor del vero, quello dell’86 fu il secondo assedio posto alla città sulla riva occidentale del Danubio. Un primo tentativo vi era stato esattamente due anni prima, tuttavia fallimentare. I cristiani non vollero ripetere l’errore e affidarono l’organizzazione del secondo assedio a Carlo V, duca di Lorena. Carlo era al comando di 74.000 uomini, ben armati e soprattutto ben riforniti. A maggior ragione il duca di Lorena poteva dirsi tranquillo: a coprirgli le spalle da eventuali attacchi ottomani c’erano i dragoni di un certo Eugenio di Savoia (che abbiamo imparato come fosse il terrore dei turchi-ottomani).
La guarnigione a presidio di Buda, comandata da Abdurrahman Abdi Pascià, impallidiva se confrontata al numero delle forze attaccanti. Entro le mura della città si trovavano 7.000 uomini armati, di cui 3.000 giannizzeri. Una minima speranza per i turchi poteva essere rappresentata dalla forza di soccorso guidata da Sarı Süleyman Paşa, allora Gran visir. Peccato che a frapporsi ci fosse sempre il principe Eugenio. A fine agosto era ormai chiaro a tutti l’esito dell’assedio; troppa, infatti, era la disparità delle forze in campo. Le armate cristiane espugnarono Buda il 2 settembre. Una volta dentro, si verificarono violenze e massacri indiscriminati, fomentati dall’odio che i cristiani covavano nei confronti degli “infedeli” e dei loro alleati.
Lo storico Jaques Tony scrive in Dictionary of Battles and Sieges: “Buda fu presa e abbandonata al saccheggio. I soldati commisero così tali eccessi. Contro i turchi, a causa della loro lunga e persistente resistenza, che era costata la vita a un numero sorprendente di compagni, non risparmiarono né l’età né il sesso. […] L’elettore di Baviera e il duca di Lorena, turbati dalla conoscenza di uomini uccisi e donne violentate, diedero buoni ordini che la carneficina dovesse cessare e le vite di oltre 2000 turchi furono salvate”.
Anche la comunità ebraica di Buda, florida sotto il dominio sultanale, subì pesanti vessazioni che la portarono quasi all’estinzione. Le moschee e i minareti di Buda furono distrutti e tre sinagoghe furono bruciate, insieme a numerosi libri di valore, dall’esercito della Lega Santa. Interessantissima, a mio avviso, la testimonianza diretta dell’accaduto che si evince dalle parole di Johann Dietz di Brandeburgo, medico militare al seguito delle forze assedianti. Egli scrisse: “… Nemmeno i bambini nel grembo delle loro madri si salvarono. Tutti andarono incontro a morte. Ero piuttosto inorridito da ciò che accadde. Gli uomini erano molto più crudeli gli uni con gli altri delle bestie selvagge”.
Alla resa dei conti, gli Asburgo posero gli ungheresi di fronte ad un fatto conclamato: loro, e non i ribelli magiari, avevano liberato Buda. Perciò loro, e non un sovrano ungherese, potevano reclamare la potestà sul regno. Dopo Mohács (1687), il parlamento ungherese riunitosi a Presburgo (odierna Bratislava) riconobbe il diritto alla successione al trono magiaro da parte del piccolo arciduca d’Austria Giuseppe, in seguito imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Giuseppe I dal 1705 al 1711.