Quando affrontiamo il tema, riecheggiano in noi le parole di Einstein, il quale dopo aver compreso quanto accaduto ad Hiroshima e Nagasaki, disse: “non ho idea di quali armi serviranno per combattere la Terza Guerra Mondiale, ma per la quarta serviranno pietre e bastoni”. Parole chiare, che acquisiscono un significato maggiore se pensiamo a quanto accaduto il 30 ottobre 1961 nell’arcipelago di Novaja Zemlja. A nord del Circolo Polare Artico i sovietici testarono la Bomba Zar, l’ordigno nucleare più potente mai creato dall’uomo.
Alle ore 11:32 (Mosca) il bombardiere Tupolev Tu 95V, appositamente modificato per accogliere l’ordigno, sganciò quest’ultimo su un’isola minore del già citato arcipelago. In linea teorica, la Bomba Zar poteva sprigionare un’energia pari a 100 megatoni, ma per il test si preferì una versione depotenziata, di 50 megatoni. Solo per farci un’idea: se prendiamo l’energia prodotta dalle due bombe di Hiroshima e Nagasaki, le uniamo e le moltiplichiamo per 1570, il risultato è quello di “Big Ivan” – altro nome per l’ordigno all’idrogeno sovietico del 1961.
Sganciata con un paracadute (per permettere la fuga del bombardiere), la bomba all’idrogeno causò nell’immediato una palla di fuoco enorme, del diametro di 8 km, la quale però non toccò terra perché respinta dall’onda d’urto. Quest’ultima percorse la terra per ben 3 volte nell’arco di qualche minuto. Successivamente si levò al cielo un fungo atomico mai visto prima: 64 km in altezza, con un cappello di 95 km.
Big Ivan era sì un’arma di distruzione di massa, anzi, l’arma di distruzione di massa più temibile mai creata. Tuttavia il suo potenziale bellico era, a dir la verità, abbastanza limitato. Sì, perché l’esplosività della bomba verteva verso l’alto. Ciò nonostante, si stima che l’esplosione della versione da 100 megatoni avrebbe causato una distruzione totale in un dato territorio nel raggio di 35 km.
Date tali ragioni, è facile pensare che la detonazione sia stata solamente una mossa politica voluta dal premier sovietico Nikita Khruščёv. Ha senso, se consideriamo il clima non proprio disteso durante quegli anni di Guerra Fredda. Quel “mostro”, come l’avrebbero chiamata in molti in seguito, spaventò anche gli stessi fisici che la crearono.
Il “padre” della Bomba Zar, lo scienziato Andrej Sacharov, si convinse dell’errore fatto e iniziò a battersi affinché ciò non si ripetesse. Finì per diventare un dissidente del regime di Mosca. Per le sue battaglia vinse anche un premio Nobel nel 1975. Resta il fatto che l’uomo, nel 1961, dimostrò ancora una volta quanto si fosse disposti a sacrificare l’incolumità terrestre pur di far prevalere i muscoli sulla ragione.