Horace de Vere Cole è per molti un talentuoso poeta irlandese attivo tra XIX e XX secolo. Vero, se non fosse che la sua arte sconfinava dal campo poetico, rivelandosi poliedrica. Perché se c’era qualcosa in cui Cole era veramente bravo, si trattava della pianificazione di scherzi dalla portata mediatica impressionante; scherzi, come la “Beffa della Dreadnought” (Dreadnought hoax in inglese), difficili solo da immaginare, figuriamoci da realizzare.
Preme sottolineare come, se si dovesse stilare una lista delle burle compiute da Cole, dovremmo impiegare più di un articolo per descriverle tutte in modo esaustivo. Oggi ci limitiamo alla più grande. Non è detto che un giorno il “poeta” irlandese non possa tornare a ritagliarsi uno spazio tra queste righe. È il giusto riconoscimento per la sua sfacciataggine (che tanto stimiamo).
Ritornando alla “Beffa della Dreadnought”, il nome ci indica già dove si svolge il capolavoro di Horace de Vere Cole e dei suoi collaboratori, datato 7 febbraio 1910. Il comandante della corazzata, William May, riceve un telegramma in cui si informa dell’arrivo di una delegazione abissina per visitare la splendida imbarcazione. Inutile dire che a spedire il telegramma fu Cole e che la delegazione in realtà era composta dai suoi compagni di scherzo (tra i quali spicca Virginia Woolf, beh…).
Appositamente truccati e conciati per l’occasione, i dignitari abissini impersonavano importanti figure, tra le quali l’imperatore Menelik II (sì, un nome che dovrebbe ricordare qualcosa a noi italiani). La Woolf assunse le sembianze di un principe africano di nome Mendex (dal latino mendax, ovvero bugiardo). Cole avrebbe svolto il ruolo di funzionario e mediatore del ministero degli esteri. Lo scherzo ebbe successo fin da subito. Giunti a Weymouth, dove si trovava la Dreadnought, con un treno appositamente preparato per l’occasione, gli ufficiali di bordo accolsero i dignitari con tutti gli onori del caso. Diciamo, visto che issarono la bandiera dello Zanzibar e suonarono il rispettivo inno…
E qui qualcuno potrebbe chiedersi: ma come facevano a comunicare tra loro senza che nessuno si accorgesse di niente? Semplicissimo. Cole & co. parlavano una lingua inventata, una sorta di miscuglio tra latino e greco con l’aggiunta di termini inesistenti. In segno d’approvazione si utilizzava l’espressione “Bunga Bunga!”. Ed ecco che la stampa inglese, una volta venuta a conoscenza dello scherzo, definì l’accaduto con l’epiteto “Bunga Bungle”, letteralmente “pasticcio del Bunga”. La visita proseguì senza problemi e la burla andò in porto, eccome se lo fece.
Dopo qualche giorno l’artefice dello scherzo non resistette alla tentazione di rendere pubblica l’umiliazione della Royal Navy. I risvolti furono immediati. La marina reale, per non dare ulteriore seguito alla vicenda, non intentò azioni legali contro gli autori dello scherzo. Essa si limitò a qualche frustata sul didietro. No, non stiamo scherzando, è accaduto davvero. Punizioni stile british per una beffa non proprio british.