Casi di resistenza estrema da parte giapponese nel secondo dopo guerra sono ben noti, solo per citarne uno: Hiroo Onoda, arresosi nel 1974…Ma ce ne sono molti altri, sebbene isolati. Oggi invece vogliamo raccontarvi una storia particolare, che si è svolta nell’isola di Peleliu, facente parte dell’arcipelago delle Palau. Qui americani e giapponesi continuarono a “combattere” anche dopo la resa nipponica, almeno fino al ’47. Come mai?
Prima di rispondere alla domanda, dobbiamo fare un breve accenno alle dinamiche che ruotano attorno alla battaglia di Peleliu. Nell’ambito dell’operazione americana Stalemate II, con la quale si cercò di aprire un corridoio nel Pacifico sud-occidentale diretto verso il Giappone, dal settembre al novembre del 1944 truppe statunitensi conquistarono l’isola di Peleliu dopo violenti scontri.
L’atollo era di importanza strategica e per metterlo sotto scacco gli americani si servirono di quasi 50.000 uomini, contro i 12.000 giapponesi stanziati. Inutile dirlo, come molti altri episodi, gli scontri furono sanguinolenti. I soldati imperiali combattevano fino all’estremo sacrificio, difendendo prima la pista d’atterraggio, poi la fitta giungla e infine il monte dell’isola. Quest’ultima difesa fu la più intensa, perché i soldati nipponici sfruttarono una rete di caverne adatte ad una tattica difensiva-conservativa.
Per la storia che vogliamo raccontarvi, queste grotte assumono un ruolo centrale. L’intera guarnigione a difesa dell’isola perì al termine del 1944. Almeno questo dicevano i resoconti americani. Eh sì, perché il tenente Ei Yamaguchi insieme a 32 uomini continuarono a resistere (attraverso azioni di guerriglia scarsamente efficaci) fino all’aprile del 1947. Essi scelsero come “quartier generale” le sopracitate caverne.
Questi uomini – pare fossero addetti ai trasporti sull’isola, quindi camionisti – sopravvissero rubando scorte alimentari alleate nonché lotti d’armamenti. A raccontare l’episodio è stato lo stesso tenente Yamaguchi, successivamente intervistato. Egli ammette anche come alcuni suoi uomini fossero riusciti ad intrufolarsi negli accampamenti americani solo per guardare qualche film!
Alla fine qualcuno si rese conto che sulla montagna c’era vita e, una volta scoperti i 33 uomini, gli americani si servirono dell’aiuto di un ammiraglio giapponese per dire ai soldati che la guerra era finita. L’azione fu tempestiva, perché da qualche settimana Yamaguchi aveva programmato un ultimo assalto all’aeroporto dell’isola. Meglio tardi che mai.