Vi basti sapere che ancora oggi la battaglia di Canne, del 216 a.C. viene presa ad esempio per spiegare alcune tattiche e strategie militari…Siamo nel XXI secolo. Quello che in assoluto viene considerato il capolavoro strategico di Annibale ha rappresentato, per Roma, un colpo basso inferto in uno dei momenti più delicati della storia repubblicana. Esattamente, come si è giunti in questa situazione? Cosa ci faceva Annibale nel bel mezzo della Puglia?
Il contesto è quello della seconda Guerra Punica (218-202 a.C.) e la situazione, prima di Canne, è abbastanza complicata per Roma. In due anni Annibale ha attraversato le Alpi, sconfitto i romani nella battaglie del Trebbia e del Trasimeno, avanzando fino al meridione peninsulare. Il Senato nomina dittatore Quinto Fabio Massimo, nella speranza di poter risolvere la questione. Quest’ultimo passerà alla storia come il “cunctator” (“il temporeggiatore”), vista la sua tattica attendista nell’ottica di un progressivo esaurimento delle risorse cartaginesi.
Ad onor del vero, il povero Quinto Fabio Massimo avrebbe avuto anche successo, ma sul medio-lungo periodo. Purtroppo nessuno sul momento volle dare ascolto al dictator, rimpiazzato seduta stante. Si decise quindi di intervenire, delegando il comando militare ai due consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone. La coppia di comandanti aveva a disposizione ben 8 legioni romane e altrettante legioni composte da alleati italici. Il totale delle pedine in gioco, da parte romana, era di circa 80.000 unità.
Annibale poteva contare su una forza decisamente più scarna (all’incirca la metà degli uomini romani) ma aveva dalla sua una cosa che agli altri mancava: un talento tattico-strategico fuori dall’ordinario. Durante la battaglia di Canne accadde qualcosa di molto semplice: lo schieramento romano avanzò compattamente, cercando di sfondare il centro punico. Questo ripiegò, formando una sorta di “mezzaluna”. Le ali di cavalleria cartaginese a quel punto attaccarono i lati romani. Il risultato? Fu una carneficina senza precedenti.
Gran parte degli alti comandi romani perirono (Varrone e Scipione l’Africano si salvarono per il rotto della cuffia); 50.000 uomini non fecero ritorno nelle loro case. Annibale aveva messo in imbarazzo Roma e la sua autostima. Cosa accadde dopo, però, ha dell’incredibile. Il generale cartaginese non affondò il colpo evitando di marciare su Roma, ma continuò a scorrazzare per l’Italia. Probabilmente egli pensò di non poter sottomettere del tutto la Repubblica, che ancora poteva contare su una rete di alleati abbastanza salda (anche se in molti deferirono).
Concludiamo con le parole di Tito Livio, che secondo noi catturano alla perfezione il significato della battaglia di Canne: “Afris prope iam fessis caede magis quam pugna” – “I Cartaginesi erano quasi più stanchi per la strage compiuta che per il combattimento”. Parole forti.