Nel 1993 tre alpini italiani di Bari decisero, in accordo con il C.A.R.S. (Centro Altamurano Ricerche Speleologiche) di addentrarsi nella grotta di Lamalunga. Della cavità di origine carsica si avevano notizie fin dagli ultimi decenni del XIX secolo, ma il luogo non aveva attirato chissà quanta attenzione e ricerca, per via delle innumerevoli complicazioni che la caratterizzavano. Tuttavia la grotta nascondeva un tesoro: l’Uomo di Altamura.
Dopo aver superato dei cunicoli, i tre alpini si addentrarono in una grande camera, all’interno della quale visionarono diverse ossa di origine animale. Ma uno sguardo più attento decretò una straordinaria (quanto unica) scoperta. Saltò all’occhio un cranio umano, perfettamente in simbiosi con l’ambiente stalattitico e stalagmitico. Il termine “simbiosi” è da prendere alla lettera.
Le stalattiti e le stalagmiti sono cresciute nei millenni ed hanno avvolto lo scheletro del maschio adulto. Il processo ha garantito una straordinaria conservazione del corpo. Ma se di millenni si parla, allora chi era quest’uomo? Ultime analisi, condotte o supervisionate dall’Università di Bari, affermano come i resti siano di un Homo Neanderthalensis vissuto tra i 150.000 e i 187.000 anni fa.
L’unicità del ritrovamento si palesa in vari dettagli. Prima di tutto, parliamo dell’esempio di scheletro paleolitico più completo e meglio conservato dell’intero continente. Inoltre, indagini d’alta tecnologia segnalano come il DNA dell’Uomo di Altamura sia quello più antico mai recuperato – restando nell’ambito dei Neanderthal, ovviamente.
Ma, c’è sempre un “ma”, i problemi anche questa volta sono chiari ed espliciti. Sebbene si sappia come lo scheletro sia completo di ogni componente (caso eccezionale, anzi, unico), il fatto che sia “incastonato” non permette lo studio a 360° del reperto di Altamura. Si è provato a trasformare la grotta in una sorta di “museo da campo”, introducendo macchinari e strumentazione per lo studio. Il progetto non ha avuto esito favorevole a causa dei danni causati alla grotta dalla suddetta strumentazione.
Ecco perché negli ultimi tempi gli studiosi stanno agendo con tecniche alternative. Queste permettono alla comunità scientifica di analizzare il reperto di inestimabile valore, attraverso il quale studio ci permette, in qualità d’umani, di comprenderci meglio. Tutto ciò grazie ad un uomo, non uno qualunque: l’Uomo di Altamura.