Esattamente il 16 aprile di 53 anni fa, nel 1971, un cartellone pubblicitario tutt’altro che anonimo compariva tra la Washington State Route 167 e la suggestiva Pacific Coast Highway, a pochi chilometri di distanza dall’Aeroporto Internazionale SeaTac. Il riferimento geografico così espresso non è chiarissimo ma ve lo dico io, ci troviamo nella ridente Seattle (Stato di Washington), che tanto ridente non era in quella primavera del ’71. Un denso alone di pessimismo misto a panico era calato sulla Emerald City, la città di smeraldo. Ecco, il cartellone sopracitato ironizzava su quel disfattismo cosmico, recitando “l’ultimo a lasciare Seattle spenga le luci” (“Will the last person leaving Seattle – Turn out the lights”). Chi ideò quel messaggio, provocatorio e al contempo tagliente, non poteva immaginare di aver dato vita ad uno dei cartelloni pubblicitari più iconici di sempre. Quella che vi sto per raccontare è la sua storia.
Una storia che all’apparenza può sembrare banale, fine a sé stessa, quasi una pillola di curiosità e nulla più. Invece ciò che accadde nella Seattle di fine anni Sessanta, inizio Settanta, è emblematico; una cartina tornasole delle strutturali (e tutt’ora irrisolvibili) criticità del sistema economia-stato negli USA e, più in generale, nella parte di mondo che segue quei dettami macroeconomici. La vicenda ha per protagonisti diversi attori. Li elenco in sequenza e poi cerchiamo di intrecciare a dovere i fili della trama. Dunque chiamiamo in causa le figure di spicco, esse sono: la celebre compagnia aeronautica Boeing, il catastrofismo civico degli abitanti di Seattle e il genio di due agenti immobiliari, i quali rispondo al nome di Bob McDonald e Jim Youngren.
All’epoca dei fatti non erano poi così lontani gli anni in cui William Boeing e George Conrad Westervelt davano vita alla Boeing Company, una società sorta a Seattle nel 1916 e presto diventata leader nel settore del trasporto aereo. Insomma, con l’introduzione in larga scala dei Boeing 737 (nel 1967) – uno degli aerei di linea più venduti di sempre e ancora oggi in produzione – e l’ingresso della compagnia nel programma aerospaziale statunitense Apollo, dalle parti di Seattle si respirava un’area particolarmente ottimistica. Con la Boeing che cresceva a dismisura, aumentava di conseguenza il tasso d’occupazione nella città situata sulla West Coast.
Tutto molto bello, almeno fino all’esordio del 1970. La fabbrica Boeing subì diversi contraccolpi non da poco. Forse il più pesante tra questi fu il fallimento del programma Apollo, di cui era divenuta una delle principali finanziatrici. Con l’annullamento delle missioni Apollo 18, 19 e 20, la compagnia aerea si vide cancellare con un colpo di spugna la principale fonte di guadagni. Così i vertici societari decisero di ammortizzare il sinistro scaricando sul comparto civile. Ergo: taglio netto dei posti di lavoro, produzione al ribasso dei nuovi modelli (B747 Jumbo Jet) e abbandono di alcuni progetti ambizioni (vedasi il supersonico 2707, la risposta al Concorde anglo-francese). Quando le cose vanno male e sembra che non possano mai andare peggio, state certi che il fato vi smentirà. In quegli anni di crisi si sommò una globale recessione nel settore degli aerei di linea. Dalla padella alla brace.
Taglio netto dei posti di lavoro, si è detto. Ma sarebbe più corretta chiamarla purga. In quattro anni, dal 1970 al 1974, la Boeing licenziò quasi 60.000 dipendenti (su 80.000 registrati nel 1969, più qualche migliaio appartenenti a succursali e associate). Non ci sono molti aggettivi per descrivere un cataclisma economico e occupazionale del genere. Aggettivi no, ma frasi ad effetto sì. Qui entra in gioco il duo McDonald-Youngren.
Vista l’ariaccia che tirava, la città stava perdendo molti dei suoi abitanti, i quali in preda al panico facevano le valige in fretta e furia, partendo alla ricerca di nuovi lidi e migliori opportunità. Era visibile a tutti lo svuotamento progressivo tanto del centro cittadino quanto delle periferie. Gli agenti immobiliari dipendenti della Henry Broderick Inc. vollero ironizzare sul momento a dir poco tragico per Seattle. Ciò li condusse a realizzare quel cartellone pubblicitario, recante la leggendaria scritta. Solo per fornire un’idea della portata mediatica del messaggio, praticamente ogni quotidiano o rivista specialistica con sede negli USA utilizzò l’immagine di quel cartellone per presentare ai lettori il dramma di Seattle.
Al di là del successo mediatico (sorto dalle ceneri fumanti della fallimentare Boeing; classico americano, n.d.r.), Seattle riuscì miracolosamente a salvarsi. In qualche modo la situazione si risollevò. La Boeing Company recuperò diversi posti di lavoro (già 10.000 circa al termine del 1971). Si rimise in gioco con altri progetti che, spoiler, avranno un certo successo negli anni a venire. Una storia a lieto fine, direbbe qualcuno. Ma c’è un retroscena dal sapore ancor più sarcastico del cartellone stesso. Nel dicembre di quello “stregato” 1971 un aereo Boeing 727 partito da Portland (Oregon) e diretto a Seattle viene dirottato. L’autore del reato passerà alla storia come il criminale statunitense per eccellenza. Questa è l’incredibile storia di D.B. Cooper, che vi abbiamo raccontato in separata sede e che mi sembrava giusto citare a conclusione di una vicenda già di per sé tragicomica.