Miniserie a due episodi dedicata al Principato di Monaco contemporaneo. Boom! Semplice e diretto, senza troppi giri di parole. L’idea di fondo, che ha sospinto e non poco la personale voglia di mettere nero su bianco queste parole, è quella di raccontare in un primo momento il principio sul quale si fonda l’estrema ricchezza di uno Stato minuscolo, territorialmente parlando. Mentre nel successivo pezzo, vorrei trattare la fase novecentesca del regno, che a dirla tutta è quella dell’assoluta affermazione finanziaria ed edilizia, nonché della centralità mediatica. Ma non bruciamo le tappe. Allora, da dove iniziamo?
Beh, non a torto molti indicano il 1789 come anno ideale dell’inizio del secolo Ottocento. Il perché è scontato. Personalmente trovo la supposizione azzeccata, almeno stando alla storia del regno monegasco. Onorato III, ultimo sovrano Grimaldi prima del reset rivoluzionario, è costretto alla prigionia giacobina e quindi all’abdicazione. Così le tre città della sovranità monegasca, ovvero Mentone, Roccabruna e Monaco, diventano parte integrante della Francia dal cappello frigio, entro i confini del Dipartimento delle Alpi Marittime. Succede quel che succede (Napoleone…) e si arriva al 1815. Il Congresso di Vienna decreta il ritorno del principato – sotto le vesti di un protettorato sabaudo – nelle mani di Casa Grimaldi. La nuova testa coronata è Onorato IV.
Fino alla metà del secolo, il principato sopravvive come può. L’economia si regge prevalentemente sugli ulivi di Roccabruna e Mentone, ovvero le due municipalità più estese e remunerative del dominio. Quasi tutta la produzione è destinata all’esportazione, ciò basta e avanza al discreto Principato di Monaco. La quiete si interrompe nel 1848, annus horribilis per l’Europa reazionaria. Le gemelline Roccabruna e Mentone si affrancano dal principato, battendo il tricolore italiano e chiedendo a gran voce l’annessione diretta al Regno di Sardegna. Inizia una lunga contesa in cui entra anche la Francia della Seconda Repubblica; non deve interessarci lo svolgimento giudiziario di questa, quanto più il fatto che alla fine le città diventano francesi. Ci torniamo tra poco sull’evento.
La defezione lascia sola e indifesa Monaco, governata da un inetto come Florestano I. Ma alla mancanza di polso del principe sovrano sopperisce il decisionismo avveduto della consorte Maria Carolina Gibert de Lametz. L’ex attrice francese, ora nobildonna, pone (per quanto le è possibile) un freno alla crisi economica e commerciale di Monaco. Quando nel 1856 viene meno Florestano I, succede il figlio Carlo III, il quale se la deve vedere con una statualità allo sfascio (e pensare cosa sarebbe accaduto se la principessa Carolina Gibert non avesse agito per la sopravvivenza del principato). Le rendite derivanti dai limoni di Mentone e gli ulivi di Roccabruna mancano come l’aria e il principe Carlo è chiamato a reinventare un’economia sostanzialmente debole e recessiva.
L’eco fortunoso di un casinò tedesco nella città di Bad Homburg vor der Höhe giunge alle orecchie di Carlo III. E se… Si costruisse un casinò attrattivo ed esclusivo proprio a Monaco? Il Grimaldi invitò François Blanc, la mente imprenditoriale dietro il casinò di Homburg, a raggiungerlo nella rocciosa riva che si affaccia sul Mar Ligure. Esattamente il 14 dicembre 1856 apre la prima struttura dedita al gioco d’azzardo, ma l’esperimento non è proprio un successo; tutt’altro.
Monaco è difficilissima da raggiungere, manca una viabilità confortante e ben collegata, quindi sono poche le personalità che si preoccupano di sperperare i profitti tra le prime sale da gioco monegasche. La contingenza storica tuttavia sorride a Carlo. Nel 1860 Regno di Sardegna e Francia si accordano: Nizza in cambio del sostegno militare contro l’aquila bicipite austriaca. Ciò significa che Napoleone III deve riscattare con moneta Roccabruna e Mentone (sulla carta ancora annessi al principato).
Il trattato del 1861 tra Monaco e Parigi è paradossalmente una manna dal cielo per Carlo III. Oltre l’indennizzo che la Francia paga al principato per le due città, viene sottoscritta l’imposizione per Monaco nel dover costruire una stazione ferroviaria per la tratta Marsiglia-Ventimiglia, arteria che congiunge l’impero francese al neonato Regno d’Italia. Il problema del collegamento svanisce così, Monaco ne giova. François Blanc, forte adesso del monopolio sul gioco d’azzardo, torna alla carica. Ordina la costruzione di un nuovo casinò su una collinetta isolata chiamata Plateau des Spelugues nonché di un sontuoso e fastoso albergo, l’Hôtel de Paris nel 1864. Si palesa in tutto il suo splendore, nella seconda metà del secolo, il miracolo del principato. L’Europa dei ricchi si sposta in direzione del Prinçipatu de Mu̍negu, accrescendone la ricchezza e soprattutto la fama.
I guadagni sono tali che il principe Carlo abroga le tasse sulla persona, sull’immobile e sulla proprietà fondiaria. Segue quindi una speculazione edilizia senza precedenti. In questo momento la collina sulla quale si poggia il casinò viene ribattezzata “Montecarlo” in onore del sovrano illuminato. Una fortuna che qualcuno, dopo di lui, dovrà non solo conservare, ma coltivare durante gli anni del nuovo secolo.