Esistono storie che per quanto assurde, inconcepibili ed irrazionali, appartengono all’ambito della realtà concreta, tangibile perché verificabile grazie a fonti materiali, astratte, testuali o iconografiche. Esistono vite, che per quanto possano sembrare uscite da un romanzo di fantasia della prima età contemporanea, si affermano come oggettività quotidiana, magari opinabile, forse discutibile, eppure palpabile. Avrei commesso peccato se non avessi introdotto la persona – o meglio, il personaggio – di Norton I, imperatore degli Stati Uniti d’America, in questo modo al limite tra il filosofico e l’incomprensibile. Due denominatori che si sposano alla perfezione con la vita che vi sto per raccontare.
Esatto, parliamo proprio di quel paese repubblicano che più repubblicano non si può. Quell’entità che per affermare se stessa in termini statali e nazionalistici, ha combattuto la monarchia, l’ha vita ed ha preferito rivolgersi al vertice istituzionale col titolo onorifico “Mr. President” invece del retrogrado “His Majesty”. A ben vedere, un sovrano, o per meglio dire, un imperatore, gli States l’hanno avuto. La sua vicenda è al centro di questa narrazione, per ribadire a voi tutti come la storia spesso sia più straordinaria della finzione.
Norton I si è detto, ma al secolo egli si presentava come Joshua Abraham Norton. Il nome non tradisce la sua ascendenza ebraica, la quale aveva posto radici nella Londra del XVIII secolo. Il nostro uomo nacque il 4 febbraio 1818, nel quartiere londinese di Deptford. Dei primi anni di vita di Joshua non si sa molto, se non che la famiglia si trasferì in Sudafrica quando lui di anni ne aveva poco più di due. Sì, nell’estremo meridione africano, alla ricerca del successo, come tanti nel 1820 fecero sospinti da un programma coloniale britannico.
Ma il successo, tradotto in benessere e prosperità, tardò ad arrivare. Così il giovane natio di Londra smise di cercare fortune nel continente nero e iniziò a farlo, in piena autonomia, nei febbrili USA. Parte poco più che ventenne: racimola quale soldo a Boston e poi volge il suo sguardo ad ovest, esattamente verso San Francisco, California.
Joshua non è il solo, non è ovviamente il primo e certamente non fu l’ultimo. Tanti come lui interpretavano il recente sogno americano come una sfrenata ricerca, che essa fosse d’oro, terre o affari poco importava. Detentore di un bel patrimonio da investire, Norton si mette in gioco, anche se le documentazioni coeve non specificano secondo quali modalità. Si sa però che al 1852, grazie alla speculazione immobiliare e ad alcuni ottimi investimenti nel settore alimentare, Joshua Abraham Norton è uno dei cittadini più facoltosi di Frisco (che nello slang locale significa “San Francisco”; tenete a mente il dettaglio…). L’anno scelto non è casuale, perché segna l’esatto momento in cui l’imprenditore può svoltare la propria vita.
Nella città californiana (in realtà in quasi tutta la costa ovest) manca il riso. La carenza è dovuta ad una devastante carestia, che ha messo in ginocchio le già risicate colture locali. La Cina, principale esportatore del cerale a livello globale, pone il divieto alle esportazioni. Nel caos Joshua fiuta l’odore del colpaccio. L’uomo d’affari sa di un’imbarcazione carica di riso salpata dal Perù e decide di comprarne tutte le partite. La cifra è esorbitante, ma in cuor suo l’imprenditore sa di aver speso tutti i suoi fondi per un buon motivo. D’altronde il monopolio l’avrebbe reso uno degli uomini più ricchi d’America. Quando la nave cargo getta l’ancora nel porto di San Francisco, Norton non può credere ai propri occhi: quella è solo la prima di una lunga fila di navi. La soffiata era inesatta, il prezzo del riso crollò e Joshua Abraham Norton divenne un pover’uomo.
A poco servono le contestazioni in tribunale del non più ricco mercante. Cinque anni di processi sentenziano l’invalidità della sua causa (incentrata sulla presunta qualità scadente delle partite e perciò sulla richiesta di un risarcimento). Dal 1857 al 1859 sparisce dai radar, anche per sfuggire ai creditori. Quando torna nella baia di San Francisco, quei pochi che lo riconoscono ne denotano un evidente stato di indigenza, abbandono, confusione mentale. Giudizio tagliente, come sono taglienti i suoi continui sproloqui contro il sistema, ritenuto ingiusto e corrotto, da riformare fin dentro la sua essenza. E ricordiamolo, l’essenza di quel sistema è repubblicana, federale e pluralistica. Serve una soluzione a quell’impasse strutturale e Norton la indica con una lettera, spedita ai principali giornali della baia. Nessun organo di stampa degno di tale nome la prende in considerazione, nessuno tranne il San Francisco Daily Evening Bulletin.
Il giornale capta l’odore della stramberia e dà alle stampe il documento. Suddetto proclama riporta solennemente: “Su perentoria richiesta e desiderio della grande maggioranza dei cittadini di questi Stati Uniti, io, Joshua Norton, già di Algoa Bay , Capo di Buona Speranza, e ora da 9 anni e 10 mesi di San Francisco, California, dichiaro e proclamo me stesso Imperatore di questi Stati Uniti; e in virtù dell’autorità da me conferita, con la presente ordino e dispongo che i rappresentanti dei diversi Stati dell’Unione si riuniscano nella Sala Musicale di questa città, il 1° febbraio prossimo, per poi apportare tali modifiche nelle leggi esistenti dell’Unione in quanto potrebbero alleviare i mali in cui versa il paese, e quindi far sì che esista fiducia, sia in patria che all’estero, nella nostra stabilità e integrità. Firmato: Norton I, imperatore degli Stati Uniti”.
Sarà soltanto il primo dei sedicenti decreti imperiali che tra il 1860 fino al 1875 troveranno sempre più spazio nelle riviste. Norton I alterna momenti di lucida analisi politica, tanto in materia interna quanto in quella estera, a slanci di fervore imperialistico dal carattere squisitamente retorico. Tanti lo prendono per pazzo, molti però preferiscono osservarlo con gli occhi della simpatia e della compassione, come quando si prova sincera fiducia per un progetto utopistico già morto nella culla. Accade l’impensabile: le persone della baia iniziano a chiamarlo imperatore; la polizia lo tollera come si tollerano gli artisti di strada; le piazze lo acclamano e più di qualcuno condivide quei toni ostili rivolti verso Washington, simbolo di un potere illegittimo.
Norton I, imperatore di un siffatto stato, necessita di vestire secondo le maniere reali dell’epoca. Una giubba blu di seconda mano donatagli da alcuni ufficiali diventa ben presto oggetto da arricchire di decori, medaglie e onorificenze. Poi perché no: il sovrano ottiene in regalo una sciabola simboleggiante l’imperium. L’irrazionalità, alla quale si è alluso più volte, non cessa qui. Tramite agganci poco chiari, Norton fa produrre banconote riportanti l’effige imperiale. Non c’è limite al delirio d’onnipotenza e di certo quel limite non lo pongono gli abitanti di San Francisco o i suoi negozianti, che accettano la cartamoneta come se fosse di vera fattura.
Legifera a seconda degli eventi del suo tempo, presenta risoluzioni per la Guerra di Secessione, per i disordini in Messico (non accettando l’imposizione dell’altro imperatore Massimiliano d’Asburgo) di cui si autoproclama protettore, salvo poi cambiare idea. Odia il termine “Frisco” e in uno dei suoi vaneggiamenti più noti proibisce l’utilizzo del vocabolo: il popolo annuisce. Dichiara disciolto il congresso, emette una propria costituzione (tra l’altro progressista e libertaria) spedisce lettere in tutto il mondo chiedendo legittimazione. Nessuno se lo fila, tranne il monarca delle Hawaii, che proprio non sopporta le ingerenze di Washington e quasi per ripicca riconosce Norton I unico vero detentore dell’autorità sul suolo statunitense. Sarebbe folle se non fosse vero.
Ogni apogeo però conosce la sua fine, quella di Norton I giunge inesorabile l’8 gennaio 1880. Da un paio d’anni di lui non si sapeva più niente, forse perché la pazzia finì per assorbirlo ed estraniarlo dalla realtà. Lo ritrovano morto lungo una strada anonima della città, la SUA città, San Francisco, capitale dell’impero. Se ne va da povero, con la giacca un tempo fastosa ora sporca di terra, con due spicci nella tasca, delle chiavi e qualche missiva falsa – due delle quali alludono ad un matrimonio con la regina Vittoria e uno scambio di battute con l’autocrate di tutte le Russie lo zar Alessandro II. Oggi una targa commemorativa installata sul Bay Bridge ne ricorda la vita, le gesta e il significato che quel “pazzo” ebbe per la città. Nel mondo delle stranezze, Norton I sarebbe chiaramente il re, anzi, l’imperatore.