È il 1956, ci troviamo nel New Hampshire, precisamente al Dartmouth College. Si sta tenendo un convegno al quale prendono parte alcune delle figure di spicco del nascente campo della computazione dedicata allo sviluppo di sistemi intelligenti. Tra queste menti brillanti si distinguono i vari John McCarthy, Marvin Minsky, Claude Shannon e Nathaniel Rochester. Chiaramente non solo i soli. Meritano una menzione i ricercatori Trenchard More (Princeton), Arthur Samuel (IBM), nonché il duo Ray Solomonoff e Oliver Selfridge (MIT). McCarthy spinge su un progetto in particolare: vuole realizzare una macchina che in qualche modo simuli ogni aspetto dell’apprendimento e dell’intelligenza umana. Qualcuno però sembra averlo anticipato nei tempi e nelle intenzioni. Due ricercatori hanno sviluppato un rudimentale sistema, noto come “Logic Theorist”, in grado di avvalorare complessi teoremi partendo da semplici principi matematici. In questo specifico convegno per la prima volta si parla di Intelligenza Artificiale.
La portata dell’evento non è ben chiara al mondo degli anni ’50, appena uscito da una disastrosa guerra e già immerso in un clima bellicoso (che per alcuni è in procinto di divenire belligerante). Oltre il dato socio-politico, che poco interessa in questa sede, bisogna registrare quello tecnologico. Quelli sono gli anni dei primi computer, macchine tozze e ingombranti, capaci però di calcoli ostici persino alla mente umana più fine. Cosa possono fare queste diavolerie dell’epoca moderna se alle loro spalle c’è una programmazione precisa ed articolata. La curiosità è altissima, d’altronde la scienza si è tolta di dosso quella fastidiosa radice che i più riconoscevano in “fanta”. Promotori di quell’atteggiamento misto tra il desiderio della conoscenza e la sperimentazione informatica furono i già citati McCarthy, Shannon, Minsky, ecc. Fu per volontà dei sopracitati che si propose (già nel 1955) la Conferenza di Dartmouth, divenuta pioneristica realtà nel ’56.
La proposta teorica sui cui si basava il lavoro dei ricercatori poteva così essere letta: “Ogni aspetto dell’apprendimento o di qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza può in linea di principio essere descritto così precisamente da farne una macchina in grado di simularlo”. Alla formulazione seguiva una dichiarazione d’intenti, quest’ultima di carattere squisitamente metodologico. Ci si prefissava l’affronto di problematiche quali la scelta del linguaggio, la modulazione di concetti universalmente comprensibili, la modalità d’apprendimento dell’eventuale macchina e la sua capacità di auto-miglioramento. Cose che a sentirle oggi lascerebbe presupporre una realtà futuristica. Ma ehi! Parliamo pur sempre del 1956…
Gli interventi pronunciati in occasione di quella conferenza, le parole spese, le idee condivise e criticamente analizzate; tutto questo, nel suo insieme, fu per l’Intelligenza Artificiale quello che per la lotta di classe rappresentò un secolo prima il saggio congiunto di Marx ed Engels: un manifesto. Al convegno parteciparono un po’ tutti. Un mix eterogeneo di ingegneri, informatici, fisici, matematici e perché no, psicologi e filosofi che non guastano mai.
Ritengo sia necessario ribadire la natura informale dell’incontro, ma non per questo si può avere la pretesa di scalfire il suo significato, ergo, il significato del suo esito. Da quel piccolo college americano del New Hampshire uscirono i principali pionieri dell’AI, coloro i quali avrebbero messo in piedi laboratori, strutture dedite alla ricerca, gli stessi che avrebbero condiviso il loro sapere con le generazioni del domani (perciò del nostro presente). Ovviamente le medesime paure che attanagliano i pensieri di noi tutti quando si parla di Intelligenza Artificiale furono espresse anche allora. Fino a che punto questa tecnologia avrebbe penetrato nella nostra società? Chi avrebbe potuto (o dovuto) utilizzarla? E se non si fosse posto un freno al suo sfruttamento? In che modo si potrebbe tramutarla in strumento coercitivo?
Temi quanto mai correnti, ma che non devono distogliere l’attenzione sul progresso ed il sano impiego di questo nelle cose di tutti i giorni. Perché l’AI prima di tutto è ricerca, evoluzione, confronto e coraggio, non solo un dispositivo, non soltanto algoritmi e codici.