Fantastici esempi di arte rupestre sono stati scoperti nel Madagascar occidentale, ad essere precisi, nella suggestiva grotta di Andriamamelo. “Antico tesoro artistico”, non c’è altro modo per definire quanto visto dai ricercatori impegnati nell’indagine paletno-archeologica. Il gruppo di studiosi, composto da un mix eterogeneo anglofono (la spedizione è americana, britannica e australiana), è venuto a capo di questa spettacolare scoperta, eccezionale per svariati motivi che analizzeremo nelle seguenti righe.
In primo luogo sorprende l’essenza stessa della pittura, complessa e ben articolata a seconda di tematiche pastorali, religiose e comunitarie. Una vastità di gamma mai riscontrata prima d’ora sulla grande isola africana. Attenzione però, sarebbe un grave errore soffermarsi al solo dato “quantitativo”. Ciò che si evince dalle ipotesi speculative dei ricercatori (ci tengo a sottolineare l’aggettivo “speculativo” onde evitare fraintendimenti) è di notevole caratura. L’arte rupestre presente tra i cunicoli della grotta di Andriamamelo potrebbe essere un punto di collegamento tra l’Antico Egitto e la remota isola del Borneo. Wow, vero?
Partiamo dall’ultimo riferimento geografico. Questo, pur essendo il più distante dal punto di vista chilometrico, risulta essere il più giustificabile. Sì, perché in Madagascar la componente etnico-linguistica madre è quella malgascia. Essa si dirama in sottogruppi, tribù per meglio dire. Di queste ne contiamo 18 ad oggi; il malgascio è la più occidentale tra le lingue maleo-polinesianiche, nonché idioma nazionale. E nel caso la domanda si fosse fatta spazio nelle vostre menti, vi rispondiamo con un secco sì: ci sono elementi schiaccianti che proverebbero una neppure tanto remota colonizzazione dell’isola da parte di popolazioni provenienti dal Borneo. In aggiunta vorrei concedere risalto al seguente dato: il 90% del vocabolario malgascio è sovrapponibile a quello della lingua ma’anyan, parlata nella più grande isola del Sudest asiatico.
Su questo primo confronto il campo della fattualità sovrasta quello della speculazione. Per quanto riguarda tutto il resto, le cose si fanno più intricate e meno certe. Studiando i lineamenti ricorrenti delle pitture rupestri malgasce, i ricercatori hanno notato più di qualche somiglianza con determinate tecniche incisive e pittoriche caratteristiche del mondo etiope, nonché egizio. Le 72 copie digitali degli oggetti artistici rendono il quadro d’insieme più chiaro.
La maggior parte delle rappresentazioni ha a che fare con la realtà animale, anche in commistione con quella umana (ci sono due esempi ibridi). Non manca poi una particolare ripetizione simbolica, inerente ad una specie di “M”. Le connessioni proposte dagli esperti vedono nelle pitture una riproposizione di diverse divinità del pantheon egizio: Horus (falco), Thoth (uomo con testa d’uccello), Ma’at (struzzo), Anubi (uomo con testa canina).
Lo sforzo accademico per ora non ha fornito una risposta sul “chi” ha realizzato tali pitture. Invece sul “quando” la soluzione sembra essere leggermente più limpida. Le tinte di colore scuro hanno all’incirca 2.000 anni d’età. Esse dimostrano come il popolo, la lingua e la cultura del Madagascar siano tipiche di un’assimilazione sincretica. Una mescolanza di influenze africane e asiatiche che ha creato il “genoma” malgascio, unico e, soprattutto, ancora da scoprire.