Non che sia una novità, anzi, col passare del tempo la crudeltà umana appare sempre più come una sconcertante certezza, sulla quale si potrebbe scommettere qualunque bene ed essere certi di aver tentato la puntata vincente. L’Affare Nazino e quindi la storia dell’Isola dei Cannibali confermano quanto detto. Il suddetto episodio si aggiunge alla carrellata di orrori dei quali l’uomo novecentesco si è macchiato. La domanda sorge spontanea: abbiamo imparato qualcosa dall’esperienza a seguito di questi indicibili crimini? Il pessimismo, almeno per noi, è sovrano in tal senso.
Ritornando alla questione odierna, spostiamo la nostra attenzione sull’Unione Sovietica dei primi anni ’30; un paese in evidente difficoltà economica, che sta uscendo dalla pesante carestia materializzatasi nel 1932. Per ovviare al problema, il capo dell’OGPU (la polizia segreta del regime) e il diretto responsabile del sistema gulag, nelle persone di Genrich Grigor’evič Jagoda e Matvej Berman, presentano a Stalin un “grandioso progetto” – come gli alti rappresentanti amano definirlo. L’idea è quella di deportare due milioni (che poi si dimezzano) di persone, prevalentemente kulaki e semplici contadini, nelle terre vergini dell’URSS, ovvero Siberia e Kazakistan. Nei piani degli alti vertici sovietici, queste persone avrebbero formato delle comunità autosufficienti, le quali a loro volta avrebbero risollevato il sistema agricolo-produttivo del paese, chiaramente in collasso.
In realtà Mosca aveva già sperimentato il progetto degli insediamenti forzati anni prima della proposta Jagoda-Berman, riscontrando successo tra l’altro. Ragion per cui Stalin, all’inizio, fu felice di soddisfare la richiesta. Il problema logistico però si presentò puntuale e Mosca, pensando che il gioco non valesse la candela, ritirò l’autorizzazione. E qui nacque la disgrazia: il “grandioso progetto” era già divenuto realtà per 25.000 piccoli proprietari terrieri. Convogli ferroviari trasferirono queste persone prima nella stazione di Tomsk il 10 maggio 1933, per poi condurre una parte di queste nello sperduto isolotto fluviale di Nazino. Ci troviamo nel cuore della Siberia, precisamente su una striscia di terra lunga 3 km e larga 600 metri, tra i fiumi Orb e Nazina.
Lo sbarco sull’isola di Nazino, successivamente soprannominata Isola dei Cannibali, avvenne il 14 maggio. Solamente 4 giorni dopo lo sbarco, quindi il 18 maggio, le guardie si ricordarono di dare della farina a quelle anime in pena. 20 tonnellate arrivarono, ma senza un forno, le circa 5.000 persone presenti sul lembo di terra mischiarono alla farina dell’acqua e buttarono giù. Follia per qualcuno, disperazione per tutti gli altri.
Il risultato? Dissenteria garantita. Ne morirono circa la metà, mentre gli altri, presi dalla disperazione, si abbandonarono al cannibalismo. Qualcuno tentò la fuga, è vero, ma il destino di certo non arrise loro. A fermarli ci pensò l’autorità, incaricata di sparare a vista. Chi fuggì dall’isola, non sopravvisse alla taiga russa.
I rapporti degli ufficiali in servizio giunsero a Mosca, finendo ovviamente nel dimenticatoio. A nessuno interessò il destino di quelle persone, mandate a morire nella lontana e proibitiva Siberia. L’Affare Nazino divenne tale solamente con il crollo dell’Unione Sovietica e con il conseguente accesso agli archivi di Stato. Per intenderci, la storia divenne di dominio pubblico solamente nel 2002. Crudeltà, spettrale, disgustosa, orrida crudeltà.