È il 1976 e nella cittadina industriale della bassa Brianza, Seveso, la mattina del 10 luglio i suoi abitanti avrebbero levato gli occhi al cielo, e questo sarebbe stato di un colore diverso. La causa di quel peculiare dettaglio cromatico fu una sciagura, un misero incidente. Questo passerà alla storia come “incidente di Seveso“, il quale tenne l’Italia con il fiato sospeso viste le ripercussioni, ipotizzate nell’immediato o materialmente verificatesi, che spaventeranno – e non poco – la penisola intera.
La cittadina lombarda ospitava sul suo territorio la famosa azienda ICMESA, che era stata di proprietà di Giuvedan fino al 1963. L’azienda svizzera era poi passata sotto il controllo degli Hoffman-La Roche.
Quello che si verificò il 10 luglio fu la dispersione nell’ambiente di una diossina altamente nociva: la diossina TCDD. Questa riversatasi nei cieli creò una nube i cui effetti si riflessero anche nella zona circostante, in quasi tutto il territorio brianzolo. Il disastro originò dal surriscaldamento del reattore, a cui seguì un aumento della pressione. L’improvviso incremento fece sì che il contenuto, avviato verso il sistema di sfogo, investì il disco di rottura. Purtroppo le leggi della fisica non mentono: ad azione corrisponde una reazione eguale o contraria. L’esplosione descritta come “tremenda” e “tuonante” causò la dispersione del TCDD.
La certezza della dispersione avvenne solo il 14 luglio, dopo le prime avvisaglie degli effetti sulla flora e sulla fauna, dell’odore acre e dell’infiammazione agli occhi che in molti accusarono. Guivedan condusse delle analisi nei suoi laboratori senza previo consenso delle autorità italiane, che rimasero anzi all’oscuro. Il 15 luglio arrivarono i primi provvedimenti dei comuni colpiti: essi riguardavano le misure di contenimento e le scrupolose indicazioni sull’igiene.
Una delle problematicità scaturite si innestava su un prolifico terreno di dibattito: il conflittuale processo che avrebbe portato le donne a poter scegliere del proprio corpo. Gli uomini di governo si interrogavano sulla depenalizzazione dell’aborto, e le donne di Seveso colpite dalla nube tossica temevano per gli esiti delle loro gravidanze. Dato l’alto rischio di malformazioni queste donne avrebbero potuto ricorrere a un’interruzione di gravidanza previo permesso di una commissione medica. Anche in questo caso, nonostante la gravità dell’evento, gli uomini delle commissioni non concessero patenti se non in rarissimi casi. Per lo più infatti, le interruzioni dovevano essere classificati come aborti spontanei.
A seguito del disastro, dati gli effetti nocivi sull’ecosistema, le autorità avviarono le operazioni di contenimento e decontaminazione. Il consiglio europeo ha in seguito emanato nel 1982 una direttiva nota proprio come “direttiva Seveso” per identificare i siti industriali a rischio. Il disastro di Seveso viene classificato come una delle peggiori catastrofi umane e ambientali della storia dell’uomo.