Che la legge sia uguale per tutti, è sempre più difficile crederlo. A leggere ed ascoltare una storia come quella del principe Vittorio Emanuele di Savoia sull’isola di Cavallo, in Corsica, nell’agosto del 1978, si intuisce esattamente questo. Benché possa apparire come la solita vicenda giudiziaria con tanti – forse troppi – grigi e pochissimi lati chiari, l’affaire Vittorio Emanuele ci racconta un qualcosa di più subdolo e sgradevole. Senza saltare a conclusioni nette sin dalle prime battute, voglio prima raccontarvi i fatti così come sono stati presentati nei tribunali transalpini. Magari più di qualcuno tra voi ricorderà, forse con amaro sorriso, ciò che accadde tra il 17 e il 18 agosto del 1978 sull’isola corsa di Cavallo. Per tutti gli atri, eccovi la spiegazione.
Una combriccola di giovani ragazzi è in beata vacanza. Nel gruppo spiccano le persone di Nicky Pende, chirurgo prodigio e Don Giovanni dell’ultima ora, e Birgit Hamer, modella 17enne a sua volta figlia di un noto medico tedesco. Birgit chiede ed ottiene dai genitori il permesso di fare una gita in barca, a patto che con lei si accodi il fratello maggiore, Dirk Hamer. Detto fatto e l’avventura può partire. Spensierati, forse un po’ imprudenti, i giovani puntano un gommone nel molo e vi salgono. Peccato che il canotto appartenga al rampollo di Casa Savoia, Vittorio Emanuele, autoproclamatosi legittimo erede al trono d’Italia (la stessa Italia che odia da praticamente tutta la vita). Non appena il principe si rende conto del furto, decide di organizzare un agguato notturno in pieno stile S.W.A.T.
Non è ben chiaro come si dovesse risolvere il piano nelle più rosee aspettative del principe. Fatto sta che lui si presenta davanti i ragazzi sul gommone con la sua carabina e spara due colpi. Nicky Pende sfugge ai proiettili e fa in tempo a saltare addosso al Savoia per poterlo disarmare. Purtroppo chi non riesce a sfuggire a quegli spari è il povero Dirk Hamer, appisolato su una barca vicina. Per lui il quadro è disperato: recisione dell’arteria femorale e corsa all’ospedale di Ajaccio, dove viene messo in coma farmacologico per pura precauzione. Ajaccio-Marsiglia è l’ultimo viaggio che il 19enne Dirk Hamer compie nell’arco della sua giovane vita. Nell’ospedale Charite trova la morte quattro mesi dopo l’accaduto, soffrendo le pene dell’inferno per i ripetuti tentativi chirurgici di ricomporre la rottura dell’arteria femorale.
Vittorio Emanuele di Savoia non sfugge, apparentemente, alla giustizia francese. Prima la custodia cautelare per omicidio colposo e poi dritto a processo. La difesa dell’imputato presenta prove discutibili per avvalorare la tesi dell’innocenza. In primo luogo si afferma che il proiettile estratto dalla gamba dell’ormai defunto Dirk Hamer non corrisponda al calibro dei proiettili di carabina cari al Savoia. In seguito si cerca di far leva sull’ipotesi che la sparatoria abbia avuto più di un solo esecutore e che dunque il colpo mortale non sia da riallacciarsi all’imputato. Gli avvocati difensori tirano in ballo “l’impossibilità nel procedere con la ricostruzione dei fatti” per via dello smantellamento della barca in cui si trovava Dirk Hamer. Sì, perché in tempi rapidissimi l’imbarcazione finisce in Sardegna, dove i gendarmi francesi poco possono fare per recuperarla.
L’accusa, dal canto suo, non si fa trovare distratta e reagisce arditamente. La famiglia Hamer sbraita e urla a gran voce, amplificato da giornali ed emittenti televisive, l’ingiustizia che si sta materializzando sotto gli occhi di tutti. Indovinate un po’? Il principe di Casa Savoia la sfanga (anche questa volta): la Camera d’accusa parigina proscioglie Vittorio Emanuele nel 1991 e lo condanna a 6 mesi di detenzione con condizionale (che non sconta) per porto abusivo d’arma da fuoco, “fuori dalla propria abitazione”.
Già di per sé la vicenda è quantomeno imbarazzante, ma non sarebbe altrettanto speciale se non fosse per il “boom” mediatico del 2006. Vittorio Emanuele è in carcere per corruzione, concussione, gioco d’azzardo, falso e sfruttamento della prostituzione. Nella sala mensa di Potenza si lascia sfuggire una confessione incredibile, sconcertante direi. Ancor più assurda per il luogo e la poca “scaltrezza” che contraddistingue il principe, ingenuo nel pensare che in un contesto come quello nessuno, ma proprio nessuno, potesse ascoltarlo. Una microspia registra il discorso che qui di seguito riporto integralmente.
“Anche se avevo torto… Devo dire che li ho fregati. È davvero eccezionale: venti testimoni, e si sono affacciate tante di quelle personalità importanti. Ero sicuro di vincere. Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era steso, passando attraverso la carlinga”.
La stampa entra in possesso della registrazione e tempo zero la divulga pubblicamente. Sembra la prova schiacciante, che finalmente può mettere definitivamente dietro le sbarre un uomo che pensa di poterla fare franca in ogni momento. Sembra…
Chiaramente le autorità italiane vorrebbero intervenire a tal proposito, iniziando a credere che la controparte francese si sia fatta sfuggire qualche dettaglio. Purtroppo però non si può fare molto, perché in Francia non si può finire a processo per il medesimo reato in due occasioni diverse. Inutili sono gli appelli della famiglia Hamer e soprattutto della sorella Birgit. L’assassino (presunto tale per la legge) di Dirk resta impunito. I legali del Savoia se ne inventano una dopo l’altra in merito alla registrazione: che sia manipolata, che fuori contesto faccia dire cose non vere. Bizzarri tentativi, è vero, ma legittimi ed anzi decisivi.
Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria di Savoia è morto all’età di 87 anni il 12 febbraio di quest’anno. Si è spento dopo una vita particolarmente movimentata e moralmente discutibile. Ma non sono qui per trarre sommi giudizi sull’operato terreno di una persona come tutte le altre. Non spetta a me perché io non sono nessuno. Spetterebbe alla legge che ricordiamolo è uguale per tutti, ma come George Orwell insegna, per alcuni è più uguale degli altri.