Oramai è impossibile non sapere ciò che accadde nel lontano 79 d.C. in Campania. L’evento provocò la distruzione totale delle città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis ma allo stesso modo preservò la loro fulgida immagine contro il deterioramento del tempo. Eppure in pochi ricordano un altro evento simile per capacità distruttiva: sto parlando dell’eruzione delle pomici di Avellino, avvenuta tra il III e il II millennio a.C.
Le due catastrofi naturali hanno molto in comune. Entrambe rilasciarono ceneri e pomici su una larga porzione del territorio campano. L’eruzione del Monte Somma (la vetta facente parte del complesso vulcanico Somma-Vesuvio) coinvolse, loro malgrado, diversi insediamenti locali sviluppatisi durante la prima Età del Bronzo. Nel tempo presente, a distanza di quattro millenni dall’accaduto, gli archeologi hanno finalmente scoperto i resti sorprendentemente intatti di quegli insediamenti, cucendo su di loro la scontata nomea di “piccole Pompei preistoriche“.
Per risalire alla datazione dell’eruzione i geologi si sono avvalsi della prova al radiocarbonio. I campioni finiti in laboratorio provengono da depositi minerali presenti sui fondali di alcuni laghi dell’Italia centrale. Anche da resti animali rimasti sepolti dalle antiche ceneri vulcaniche. I numeri del fenomeno impressionano ancora oggi. La colonna eruttiva si elevò per circa 30 km d’altezza partendo dalla caldera. Lo strato di pomici e ceneri, che in fase di deposito raggiunse il metro e dieci di altezza, si distese attorno al complesso vulcanico per un raggio ampissimo.
La nube piroclastica che sigillò allora (e non per sempre, per fortuna) i villaggi sottostanti il complesso vulcanico permise loro una lunga conservazione. Ciò a discapito di eventuali fenomeni erosivi. Evidenze archeologiche di quei centri abitati si sono manifestate per la prima volta nel 1972, nei pressi di Palma Campania, provincia di Napoli. Gli addetti ai lavori ritrovarono una capanna antica sotto uno spesso strato di ceneri. La mente è corsa subito all’eruzione delle pomici di Avellino. Della stesso periodo sono gli imponenti ritrovamenti di Croce del Papa (Nola) e Afragola.
Superfluo dire come lo studio delle capanne abbia comportato un’acquisizione dati senza precedenti per il periodo storico trattato e per le contingenze alle quali si fa riferimento. Le capanne di Palma Campania, che ripeto appartenere ad un’epoca lontana quattro millenni fa, erano a forma di “U” e lunghe all’incirca 6 o 7 metri. Esse presentavano al loro interno una piccola abside e delle pareti in legno. Oltre a ciò, erano caratterizzate da tetti spioventi in paglia, anche abbastanza larghi calcolando secondo le giuste proporzioni.
Gli studiosi analizzano dagli anni ’70 il circondario di questi villaggi, per comprendere la loro disposizione e l’utilizzo dello spazio comune. Si può evincere come l’eruzione delle pomici di Avellino avesse colpito non solo case, ma anche magazzini, cortili, recinti e aree dalla produttività variegata. Una perfetta testimonianza della vita quotidiana degli antichi campani.