Trentadue centimetri di diametro contraddistinti da metallo ed oro, nonché da un’evidente simbologia astronomica con richiami alla religione. Il Disco di Nebra è ad oggi la più antica raffigurazione a noi pervenuta della volta celeste, ma nessuno, davvero nessuno, sa dire con certezza chi l’abbia realizzata. L’enigma – perché tale risulta essere – affascina ricercatori e non dal 1999, anno del suo fortuito rinvenimento all’interno di una grotta nei pressi della cittadina tedesca da cui prende il nome, Nebra. Vediamo cosa si è scoperto in merito nel corso dell’ultimo ventennio.
Il disco blu dorato risale all’Età del Bronzo. Approfondendo la veloce descrizione iniziale, è importante dire come la composizione dell’oggetto (pesante 2 kg) sia prevalentemente in lega di rame e stagno; detta in parole povere: bronzo. Per quanto riguarda le applicazioni in oro, i ricercatori evidenziano come queste abbiano subito diverse modifiche nel corso del tempo. Si presume che la creazione del disco risalga ad un periodo che va dal 2100 a.C. al 1700 a.C. circa. Analisi approfondite attraverso la tecnica della “fluorescenza X” determinano la provenienza geografica dell’oro e dello stagno. I risultati indicano il fiume Carnon, in Cornovaglia.
Il parere di astronomi, esperti metallurgici, chimici, archeologi e critici religiosi ha delineato solo parzialmente il passato del Disco di Nebra. Ad esempio il dibattito tutt’ora aperto ruota attorno al significato del manufatto. Alcuni interpretano le figure dorate come corpi celesti in un dato momento dell’anno (riconoscibile, secondo loro, sarebbe il raggruppamento delle Pleadi nella costellazione del Toro). Un corposo numero di esperti riconosce nell’oggetto la funzione di calendario solare. Altri ancora si focalizzano sulla disposizione delle lamine dorate, adducendo allo “spostamento notturno” del sole e perciò alla rotazione terrestre. Quest’ultimi in particolare suggeriscono un contatto culturale tra chi realizzò il disco più di tre millenni e mezzo fa e le varie tradizioni astronomiche mesopotamiche.
Il dato certo può essere così riassunto: il Disco di Nebra è il più antico e complesso modello rappresentativo del cielo notturno considerando ogni epoca. È opera di una civiltà mitteleuropea e, di conseguenza, anticiperebbe di due secoli la prima rappresentazione paragonabile di matrice egizia. Ma se questi sono i punti più o meno noti e concordati, tanti, tantissimi, sono quelli meno chiari, sfocati, per non dire incomprensibili.
Non disponendo di manufatti simili (per composizione, significato e datazione) è complicato formulare un’ipotesi con capo e coda sull’autore dell’oggetto circolare. Ad aggiungere pepe alla vicenda risulta essere anche il luogo della scoperta. Dei cacciatori di tesori (Henry Westphal e Mario Renner) ritrovarono il disco addentrandosi in una cavità alle pendici del monte Mittelberg. Non si sa se quella grotta facesse parte di un antico bastione difensivo o di una tomba. Forse durante il periodo neolitico diversi individui sfruttarono il luogo come osservatorio astronomico. D’altronde a 20 km da Nebra si trova lo splendido osservatorio solare di Goseck, risalente addirittura al V millennio a.C.
Dai cacciatori di tesori il disco (ritenuto inizialmente di scarso valore) passò di mano in mano presso differenti collezionisti. Nel 2001 il Ministero della cultura tedesco riuscì a combinare un’azione di sequestro grazie al contributo delle autorità svizzere, riportando il manufatto in un luogo più consono al suo prestigio. Oggi il Disco di Nebra è esposto nel Museo regionale della preistoria di Halle. L’enigma sopravvive.