Stabilitisi nel IX secolo a.C. sulla costa centrale adriatica, i Piceni, provenienti forse dall’alta Sabinia, fecero di quella terra il loro polo vitale, per non dire il loro vanto. Dall’Età del Ferro, in cui si distinsero come uno dei popoli italici culturalmente ed economicamente più vivaci, fino all’incontro-scontro con la Res publica Romana, momento focale per la civiltà picena in quanto denso di cambiamenti, radicali trasformazioni e consistenti assimilazioni. Indubbiamente i Piceni hanno svolto un ruolo chiave nell’economia – lato sensu, ovviamente – della loro regione di riferimento. Vista la favorevole posizione strategica, evidenti e reciprocamente vantaggiosi furono i legami che vennero a formarsi con le tribù e le civiltà del tempo. Attraverso lo studio della storia di questo popolo si può fare ulteriormente luce su una cultura ed una società unica nel suo genere. Ed è esattamente ciò che cercherò di fare nelle seguenti righe, assieme a voi.
Quelle che noi oggi chiamiamo Marche e Abruzzo più di tre millenni fa erano terre scarsamente abitate, sì, ma dal potenziale non indifferente. Il medesimo potenziale che i Piceni seppero sfruttare fin dal primo istante. Per lingua e tradizione, non si differenziavano poi così tanto dai vicini Umbri e Sabini. Appena insediatisi, i Piceni trovarono terreni fertili sui quali lavorare; questi si estendevano dal fiume Foglia a nord fino al corso dell’Aterno a sud, dagli Appennini ad ovest procedendo verso l’Adriatico ad est. Uno dei primi insediamenti dalla considerevole portata fu quello che i Romani in seguito chiamarono Asculum Picenum (Ascoli Piceno).
La prima fase abitativa della civiltà centro-peninsulare fu contraddistinta da un insieme di villaggi sparsi in comunicazione tra loro ma scarsamente coesi. Questo primo periodo vide l’emergere di strutture sociali distintive con una gerarchia delineata, al vertice della quale stavano leader tribali capaci di governare e amministrare. Le pratiche di sepoltura, come quelle osservate nella necropoli di Novilara, forniscono informazioni sulla loro organizzazione sociale e sulle credenze post mortem.
Come detto qualche riga più sopra, l’ubicazione geografica giovò e non poco. I Piceni presto iniziarono a commerciare tanto con le vicine tribù italiche quanto con i popoli mediterranei più lontani. Manufatti come ceramiche, utensili e armi rinvenuti nei siti picentini indicano una miscela di artigianato locale e influenze esterne, che riflette le loro interazioni con gli Etruschi, i Greci e, più tardi, i Romani, solo per menzionare i più noti. È tra il VII e il VI secolo a.C. che si registra tuttavia un cambio di registro non indifferente. Trovò concreta espressione in questi secoli un duplice processo: uno propriamente espansivo, l’altro marcatamente consolidativo. Lo dimostrano in primo luogo gli insediamenti di nuova fondazione, si citino Maritima e Firmum Picenum (Cupra Marittima e Fermo).
Si tende a credere che durante suddetta fase (noto nella storiografia italiana con la dicitura “Piceno III” o “periodo orientalizzante”) la strutturazione politica conobbe un’evoluzione. Quella mancanza di coesione di cui parlavamo pocanzi decadde, lasciando spazio ad una maggiore compattezza (guai a parlare di uniformità!). Ciò si tradusse essenzialmente in una confederazione di tribù indipendenti e tuttavia unite da interessi culturali e politici comuni. I Piceni vivevano primariamente di agricoltura (grano, orzo, olive, uva), allevamento (tradizione bovina e ovina) e artigianato. Su quest’ultimo punto è necessario fare una o due puntualizzazioni. L’eccelsa qualità e il design delle ceramiche picene suggeriscono sia un progresso nelle conoscenze artigianali locali sia un’innegabile influenza etrusca ed ellenica. Oltre ciò, vanno quantomeno menzionate le straordinarie abilità metallurgiche del popolo italico, di cui ci restano eccezionali testimonianze.
Forza e influenza furono un’arma a doppio taglio. Se a livello regionale il popolo dei Piceni si atteggiò progressivamente come attore egemone (militarmente e diplomaticamente), è altresì vero che una simile condotta attirò l’attenzione di potenze in rapida ascesa. Una su tutte? La Repubblica Romana. In uno scenario complesso e dinamico come quello dell’Italia centrale degli ultimi secoli a.C. i Piceni giocarono la loro partita, muovendosi tra alleanze strategiche talvolta controproducenti e conflitti di media-piccola entità. Si potrebbero definire “interazioni competitive“, spesso mosse da interessi territoriali e, conseguentemente, dal controllo delle risorse. Per via di questi innumerevoli scontri l’élite guerriera dei Piceni seppe distinguersi e costruirsi una nomea di tutto rispetto.
Inevitabilmente qui si inserisce il legame con Roma. Ai primordi, tra le due potenze regionali si affermò un rapporto contraddistinto da una cauta diplomazia e qualche piccola scaramuccia, ma niente di più. Questo nel IV e parte del III secolo a.C. L’anno in cui si riconosce l’inizio della fine per i Piceni è il 295 a.C. (terza guerra sannitica) quando infiammò la battaglia di Sentino, con la vittoria della quale i Romani si espansero definitivamente verso l’Adriatico. Battendo i Galli Senoni, la Repubblica dominava anche i territori a nord dei Piceni, oramai circondati e destinati alla sottomissione. Prima dell’inevitabile circostanza, gli italici vendettero cara la pelle, rompendo l’alleanza con Roma e scatenando così la guerra picentina.
Il letterato Lucio Anneo Florio scrisse nell’Epitomae rerum Romanorum: “Quasi tutta l’Italia fu in pace. Chi infatti dopo Taranto avrebbe osato agire? Se non che si decise di punire chi aveva aiutato i nemici. Pertanto furono sottomessi i Piceni e la prima città di quella gente, Ascoli”.
La definitiva repressione della rivolta ascolana e il logico assoggettamento avvenne in due distinte campagne tra il 269 e il 268 a.C. ad opera dei consoli romani Appio Claudio Russo e Publio Sempronio Sofo. Dalla “guerra contro Roma” si passò alla “guerra per Roma”. Inglobati nel macrocosmo romano, i Piceni fornirono coma da prassi contingenti in occasione della seconda guerra punica. Quando Annibale passò nel centro della penisola e cercò di sollecitare la defezione dei popoli italici dai ranghi romani, i Piceni restarono fedeli all’Urbe, combattendo sia sul lago Trasimeno (217 a.C.) che a Canne (216 a.C.).
Oltre ciò, è giusto ricordare come l’imposizione del dominio romano fu un duro colpo sferrato nel ventre della società tradizionale picena, da sempre caratterizzata da un vivo orgoglio culturale. D’altro canto, i Piceni beneficiarono degli sviluppi economici e infrastrutturali che accompagnarono l’amministrazione romana. Strade, acquedotti ed edifici pubblici romani migliorarono la qualità della vita nei territori picentini. Nonostante le sfide politiche e militari, hanno mantenuto un’identità distinta, contribuendo in modo significativo al mosaico culturale italico. Sono riusciti a tenere a bada la potente Repubblica Romana e, anche dopo la loro sconfitta, non hanno rinunciato alla loro identità, al loro modo di sentirsi Piceni.