Si scrive “Autodafé” (dal portoghese auto da fé, ossia atto di fede) ma si legge “condanna ad una morte atroce”. Nelle seguenti righe cercheremo di analizzare nel dettaglio l’istituzione, le caratteristiche e le modalità dietro una cruenta cerimonia pubblica tipica della tradizione dell’Inquisizione Spagnola (su cui vorrei soffermarmi un domani, vedremo).
L’Autodafé in quanto fenomeno liturgico cristiano, propriamente cattolico, nasce durante la metà del XIII secolo. Una prima testimonianza infatti è del 1242, quando sul trono di Francia sedeva Luigi IX il Santo. Tuttavia nell’immaginario comune il cerimoniale appartiene alla cultura iberica. Sebbene l’acto de fe (in spagnolo) sia a tutti gli effetti un particolarismo dell’Sant’Uffizio, esso in realtà lo precede di circa due secoli, come dimostrano gli eventi parigini. Fatta questa dovuta premessa di carattere cronologico, rispondiamo alla domanda delle domande: come si svolgeva un Autodafé, anche noto col latino sermo generalis?
A delineare le caratteristiche della funzione sono prevalentemente due tipi di fonti: iconografiche e letterarie. Le prime sono indubbiamente d’impatto, ma le seconde ci aiutano a comprendere nello specifico il modus operandi della corte inquisitoria. Tipicamente l’Autodafé prevedeva una messa, coadiuvata dalle immancabili preghiere e da una processione pubblica. Sì, perché il penitente o il condannato andava contro il suo destino coram populo (in pubblico). L’obiettore della fede, dopo torture e privazioni, procedeva a passo lento e con il capo rasato lungo un percorso prestabilito che aveva come meta il patibolo. Il condannato vestiva un sacco (sanbenitos) e sulla glabra testa indossava un particolare berretto a punta (corazos).
A colpi di frustrate (dal numero definibile a seconda della pena), l’objector fidei giungeva di fronte una Croce di Sant’Andrea (una croce decussata, anche nota come croce traversa). Riprendendo una particolare concezione martirologica, il condannato veniva inchiodato alla croce solo in caso di pentimento previa sentenza, a mezza croce se il Gran Inquisitore gli concedeva un’ammenda. In mancanza di questi fattori, il disgraziato andava contro l’estrema pena: il rogo. Anche qui esistono delle distinzioni: chi si pentiva in extremis, perciò durante la marcia o di fronte alle fiamme, per clemenza l’autorità inquisitoriale gli concedeva la morte per strangolamento o decapitazione. Clemenza…
Chiaramente gli Autodafé non erano all’ordine del giorno. Si trattava di cerimonie solenni a cui partecipavano autorità religiose e laiche, che richiedevano grande partecipazione nonché meticolosa organizzazione. Per citare una sola statistica: nella città di Toledo tra il 1575 e il 1660, ad esempio, se ne contarono 12. Se si estende il perimetro a tutta la penisola iberica, il numero cresce, ma non in modo esponenziale.
Il primo che istituzionalizzò la pratica religiosa fu il Grande Inquisitore Tomás de Torquemada. Egli ne indisse uno a Siviglia nel 1481. Mentre l’ultimo a verificarsi in terra spagnola fu di tre secoli esatti dopo, nel 1781 a Madrid. La realtà ispanica non fu l’unica a conoscere casi di sermo generalis. Se ne riscontrano alcuni in Messico (ultimo dei quali nel 1850), altri in Sicilia (114 autodafé celebrati in Sicilia dal 1501 al 1748 – L’Inquisizione in Sicilia, di Francesco Renda). Testimonianze di Autodafé provengono altresì dal Portogallo, dal Brasile, Perù. Persino il romano Sant’Uffizio riprese dall’esempio spagnolo, anche se in minor misura.