Nella provincia turca di Kars, proprio al confine con l’odierna Armenia, tra le gole del fiume Akhurian ad est e la valle Tzaghkotzadzor ad ovest, si trovano le rovine della cosiddetta “città delle 1001 chiese” o “delle 40 porte”. Pronunciare il suo nome, diversi secoli fa, significava parlare di una delle più importanti e floride capitali del Medio Oriente, per bellezza al pari di Costantinopoli, Il Cairo o Baghdad. Di quello splendore oggi non rimane nulla o quasi. Questa è la dolorosa storia di Ani.
Si hanno notizie documentate di Ani fin dal V secolo d.C. (anche se il territorio risultava essere abitato fin dalla preistoria). Eppure fu a cavallo tra il X e l’XI secolo che la città iniziò ad ingrandirsi esponenzialmente, raggiungendo una popolazione stimata tra i 100.000 e i 200.000 abitanti. Ovviamente l’aumento della grandezza seguiva di pari passo quello del potere e della centralità commerciale.
Per Ani passavano le principali rotte mercantili che ad est conducevano verso India e Cina, mentre a sud e ad ovest iniziava il raffinato mondo arabo o il classico ambiente europeo. A testimonianza di questo glorioso passato ci sono ancora oggi dei resti, o meglio strutture decadenti e degradate che secoli fa erano considerate tra le più avanzate, stilisticamente e tecnicamente parlando, del mondo!
I tempi oscuri iniziarono a materializzarsi con l’arrivo di diversi invasori: prima i bizantini e gli ottomani, passando per mongoli, curdi, georgiani e russi. Come se non bastasse, un violentissimo terremoto mise in ginocchio la città nel XIII secolo, accelerandone il progressivo declino. Tamerlano ne prese possesso nel 1380, cercando di risolvere qualche problema strutturale, ma i tentativi furono vani. Fino alla prima metà circa del XVIII secolo Ani fu una piccola città entro delle grandissime mura. Ma da lì in poi conobbe l’abbandono.
Lo spopolamento dell’unica città dell’area corrispose alla desolazione delle aree rurali. Il nomadismo curdo al contrario cresceva in numero. Durante l’800 l’interesse ricadde di nuovo sull’ex capitale armena. Un interesse maturato da alcuni viaggiatori europei, che la “scoprirono”, riportandone la locazione nei loro diari di viaggio. Attenzione viva anche nelle idee dello stesso Impero Russo, desideroso di studiare archeologicamente quel luogo dal trascorso incantevole.
Ancora una volta, il tentativo russo fu inutile per Ani. Quando il neo governo turco nel 1921 prese il controllo della zona, ordinò la distruzione di quanto rimasto, perché retaggio di un popolo non proprio apprezzato. L’ordine fu eseguito in parte, permettendo la traballante sopravvivenza di alcuni edifici ancora oggi visibili. Dal 1996 le rovine di Ani sono entrate a far parte del World Monument Fund, in qualità di patrimonio culturale protetto. Tuttavia osservare quello che è rimasto, pensando alla grandezza passata della città, lascia quantomeno con l’amaro in bocca.