Per il resto del mondo è il 6 novembre, ma sui territori del vasto Impero zarista – e per quei pochi che possono permettersi un calendario – la data segnata in rosso è il 28 ottobre. Sono solo nove i giorni trascorsi dall’ultima apparizione pubblica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, in occasione della prima esecuzione della dannata Sesta Sinfonia, la Patetica, quella per cui spese parole fin troppo enigmatiche, asserendo: “Credo che mi sarà dato di scrivere una sinfonia esemplare. Così probabilmente lotterò fino all’ultimo respiro per raggiungere la perfezione senza mai riuscirvi”. Nove giorni in cui l’uomo che è sulla bocca di tutti, in Russia e all’infuori di essa, vive nella maniera più ordinaria possibile. Ma sono proprio quei nove giorni che lo separano dall’ennesimo successo artistico alla fatale conclusione dell’ultimo, misterioso, atto terreno.
Čajkovskij è stato per la cultura russa, non di meno per quella europea, uno dei più luminosi fari della contemporaneità. Il suo nome riecheggia nella memoria storica di un popolo, quello di chi sa apprezzare il valore dell’arte, in tutte le sue plausibili astrazioni. Colui che seppe amalgamare gli stilemi della musica tradizionale russa ai dogmi del classicismo, elevandosi a cardine del tardo-romantico fin dagli albori della sua carriera, riuscì – e riesce ancora oggi – ad incantare la platea di ascoltatori grazie ad uno stile inconfondibile. Apprezzatissimo, come si è detto, e per questo remunerato: lo zar Alessandro III amava così tanto il suo talento da ricompensarlo con un sostanzioso vitalizio.
Noto per composizioni orchestrali e balletti i quali titoli sono diventati nel tempo un memorandum all’armonia musicale: Il lago dei cigni, La bella addormentata e Lo schiaccianoci. Non bastano queste poche parole a definire la grandezza di Pëtr Il’ič Čajkovskij, così come non bastano tutti i referti del mondo per circoscrivere le cause della sua morte. Perché sì, anche l’eccelso compositore natio di Votkinsk è entrato a pieno diritto nella black list dei personaggi storici dalla fine dubbia, ambigua se preferite.
Ogni biografo di Čajkovskij presenta la sua versione dei fatti, avvalendosi di prove più o meno legittime. Il problema è proprio questo: le tante teorie supportate differiscono tra di loro, delle volte in maniera persino bizzarra. Pescare quella maggiormente “verosimile” è impresa assai ardua, e infatti nessuno sembra aver messo la parola fine sulla scomparsa del più grande compositore russo di tutti i tempi. Ma di quali teorie stiamo parlando?
1) Morte per colera – alle tre di notte del 6 novembre (calendario gregoriano) del 1893, dopo ore convulse e spaventosamente irrequiete, Čajkovskij esala l’ultimo respiro. I dottori identificano la causa della morte in un’infezione di colera, contratta probabilmente bevendo acqua contaminata giorni addietro. Contro ogni convenzione sanitaria, contravvenendo alle procedure standard per decessi dovuti al colera, la salma dell’artista viene esposta nella stanza d’albergo in cui è morto. Si lascia la possibilità a chiunque desideri farlo di porgere l’ultimo saluto. Tutto questo mentre San Pietroburgo è afflitta da un’epidemia colerosa.
La maggior parte dei biografi ha preso per buona l’ipotesi del colera, ma qualcuno fuori dal coro ha azzardato proporre qualche stortura inerente la narrazione. Ad esempio: l’ondata epidemica che privò della vita l’autorevole Čajkovskij poteva dirsi circoscritta ai bassifondi della città. L’alta società pietroburghese, rigida nell’ascoltare i protocolli sanitari vigenti, quasi mai finiva per incappare nel tanto odiato morbo. A ciò si aggiunga lo stigma sociale per chi moriva di suddetta malattia infettiva.
Altro punto non proprio chiaro (ma qui è più una questione di casistica) riguarda il tempismo con cui sarebbe venuto a mancare il compositore. L’epidemia iniziò ad eclissarsi con l’avvento dell’autunno. Il 6 novembre, giorno della morte di Čajkovskij, in tutta San Pietroburgo si registrarono solo 68 casi (dati Novosti i Birževaja Gazeta), con un tasso di mortalità in rapidissima discesa. Come risaputo, il compositore russo era molto attento alle precauzioni igienico-sanitarie e non mancava mai di rispettarle.
Ennesimo elemento che lascia un po’ interdetti riguarda la preparazione dei medici che effettuarono la diagnosi finale. Vasily e Lev Bertenson (i dottori che assistettero l’artista) forse non avevano mai trattato un caso di colera in vita loro. A sostenerlo furono due biografi molto vicini a Čajkovskij (Holden e Poznansky). Che dire poi del “come” possa essere sopraggiunta l’infezione. A tar riguardo sono emblematiche le parole di Sergej Djagilev, direttore artistico amico di Čajkovskij. Egli riferì all’epoca dei fatti:
«Vari miti si sono presto diffusi riguardo alla morte di Čajkovskij. Qualcuno ha detto che egli prese il colera bevendo un bicchiere d’acqua al ristorante Leiner. Certo, eravamo abituati a vedere Pëtr Il’ič che mangiava lì quasi ogni giorno, ma nessuno quella volta beveva acqua senza bollirla, e ci sembrò inconcepibile che lo avesse fatto Čajkovskij».
2) Suicidio imposto – questa teoria nello specifico racchiude diverse sottotrame, ognuna delle quali punta l’indice su un attore diverso. Conclamate sono le informazioni che attestano l’omosessualità di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Un reato per l’epoca, punibile con la morte, magari con l’imposizione del suicidio. Ma da chi provenne l’ordine di avvelenarsi con l’arsenico (l’assunzione del quale portava a sintomi equiparabili a quelli del colera)? Una “corte d’onore” composta dagli ex colleghi della scuola imperiale di giurisprudenza; forse per ordine dello zar Alessandro III Romanov; probabilmente da lui stesso, come gesto estremo dinnanzi l’insoddisfazione eterna (in amore così come in arte).
Non se ne verrà mai a capo, come sostiene il musicologo Roland John Wiley. Perché troppo tempo è trascorso e tante prove sono andate perse. Soprattutto perché un’indubbia fama in vita spesso corrisponde ad un ambiguo trapasso. Čajkovskij d’altronde lo sapeva, altrimenti come interpretare le enigmatiche sonorità della Sesta Sinfonia, la Patetica, se non come un addio artistico, un requiem fatto e finito.